Una cara amica mi ha fatto conoscere un libro bellissimo e poetico, che ho divorato in poco tempo nei miei giorni di ferie.
Si intitola La casa del mago, l'ha scritto Emanuele Trevi, editore Ponte alle Grazie.
L'autore, figlio di Mario Trevi, storico psicanalista junghiano morto da qualche anno, racconta di sé, di ciò che gli è rimasto dentro del rapporto col padre e del suo lavoro di psicanalista. Ho trovato il libro decisamente avvincente, per l'umanità e la sincerità che colma ogni pagina, senza alcun timore di parlare dei pregi, dei difetti e dei misteri propri e del padre. Incredibile come sia riuscito, non essendo del mestiere, a scrivere delle pagine così profonde e illuminanti su cosa avviene nelle persone che frequentano la stanza d'analisi, siano essi terapeuti oppure pazienti. Ecco un esempio (il Bernhard citato sotto è stato il terapeuta che nel dopoguerra fece conoscere l'opera di Jung in Italia e fu "guaritore" del padre dello scrittore, oltre che di Fellini, Manganelli e molti altri personaggi famosi):
"Cosa fa esattamente un guaritore? Se c'è un potere che gli è indispensabile, è quello, tipicamente apollineo, di sciogliere - come diciamo che si scioglie un cane perché sia libero di correre in un parco. Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo bisogno di essere sciolti: non solo dal falso destino che gli altri hanno scelto per noi (che sarebbe il meno) ma da quello (altrettanto falso) che noi stessi ci costruiamo intorno mentre viviamo. Credo che persone come Bernhard o mio padre riuscissero ad agire, delicatamente ma energicamente proprio sull'idea di sé, con tutto il suo contorno di desideri illusori, che falsifica il destino degli esseri umani rendendoli infelici, bisognosi, pieni di insistenti e micidiali rancori. Giorno dopo giorno, noi scaviamo nel terreno che abbiamo sotto i piedi - del resto ci sembra normale: tutti gli altri non fanno così? -, fino al giorno in cui ci rendiamo conto che le pareti della nostra buca sono troppo alte e ripide per poterle risalire. Come siamo finiti laggiù? Quando abbiamo cominciato a sbagliare? Stabilirlo serve a poco; il fatto è che sei lì, sul fondo umido della buca, a fissare come un idiota uno spicchio di cielo sempre più lontano o irraggiungibile. Sono stati mamma e papà a metterti in mano la vanga? E' verosimile, ma c'è anche un sacco di gente che se la procura in altri modi. Il problema vero è che non sei libero, non ti ricordi nemmeno cosa significa. Perché quella buca dannata non è qualcosa di esterno, ma la tua stessa identità. Quello che ha da offrirti uno come Bernhard è poco più di un pezzo di corda, una striscia di lenzuolo con qualche nodo; se pretendi un ascensore, non c'è tempo, e non c'è spazio." (p.199)