martedì 26 gennaio 2021

morte e rinascita

Paul Gauguin: Autoritratto col Cristo giallo

 L'immagine di Gesù crocifisso ci presenta un essere umano appeso a una croce. Non può muoversi, non può fare nulla, può solo soffrire. Viene abbandonato anche dal Padre, che non risponde al suo grido di dolore. Credo che molti di noi si siano sentiti qualche volta nella vita in una situazione simile a questa: non si può fare niente, si è bloccati, inchiodati alla propria sofferenza. Si può solo morire, ma dopo, si può rinascere?

Io credo che molte volte la risposta possa essere sì, a patto che si comprenda che quella morte non è la fine definitiva di sè stessi, ma di quel modo di essere che ci ha portato in quella situazione senza via d'uscita. Se si riesce a relativizzare la morte, allora può essere possibile immaginare che, se riusciremo a cambiare qualcosa del nostro essere o agire che ci ha portato in quel vicolo cieco, la rinascita sarà possibile, anche se faticosa e lenta.
Mi ha sempre colpito constatare che spesso chi ha paura della morte ha anche paura della vita, mentre chi vive la vita senza troppa paura di affrontare dei cambiamenti, anche importanti, è talmente impegnato nel cercare di superare le piccole morti quotidiane modificando il proprio modo di stare al mondo, che alla morte definitiva e ultima non ha nemmeno tempo nè voglia di pensare, come se fosse una perdita di tempo e di energie inutile.
Spesso sono gli altri che ci mettono in croce, ma non è mai un problema così grave come quando in croce ci mettiamo noi stessi e questo può accadere quando ci dimentichiamo completamente di ciò che siamo veramente, quando smettiamo di pensare che ciò che siamo nella nostra totalità è comunque un valore e ha senso in sè e per sè.

Noi siamo il nostro corpo, la nostra mente, il nostro spirito, i nostri valori, ciò che immaginiamo o fantastichiamo, le cose in cui crediamo profondamente, il nostro modo di vedere la vita, e in quanto tali abbiamo senso e diritto di esistere, anche se gli altri non ce lo riconoscono.
La nostra morte comincia quando rinunciamo a ciò che sentiamo di essere, o quando rinneghiamo i dubbi, le insicurezze, le incertezze e gli errori eventualmente commessi.
La rinascita incomincia quando accogliamo e diamo valore alle nostre verità (e anche avere un'insicurezza o un dubbio può essere una verità) e ci proponiamo di esserne sempre più consapevoli, sentendo la nostra unicità come un valore, la nostra vita come una serie continua di nuove conoscenze ed esperienze, di piccole morti e successive rinascite, cioè di trasformazioni.
Non per vincere, per arrivare primi o per essere i più bravi e i più belli, ma per essere solamente e sempre ciò che autenticamente siamo. 


giovedì 21 gennaio 2021

una vita da artigiano

Le cose che si costruiscono oggi sono mediamente più fragili e hanno minor durata di quelle costruite nel passato. I prodotti sono sempre più standardizzati e la loro bellezza è spesso un fattore esteriore che nasconde una qualità intrinseca del prodotto media o addirittura scadente. 

Gli artigiani tendono a scomparire: sia quelli che costruiscono e vendono cose particolari, sia quelli che sanno aggiustare le cose, sia quelli che vendono i ricambi e gli strumenti per fare manutenzione. 

Il loro posto è preso dalle grandi catene commerciali che hanno commessi spesso un po' inesperti, le cui competenze si limitano a indicarti su quale scaffale sono esposte le cose che cerchi. Comprando su internet, addirittura, non parli con nessuno e non vedi nemmeno le cose fisicamente: un paio di scarpe, ad esempio, non le puoi nemmeno provare, al massimo, se non ti vanno bene, puoi restituirle.

Mancano anche i giovani che vogliono fare gavetta presso gli artigiani imparando le basi di cui è composta la professione, per appropriarsi piano piano dei segreti del mestiere. La formazione dei giovani è oggi spesso standardizzata, appaltata ad esperti che raramente hanno sperimentato personalmente le tecniche che vanno ad insegnare.

Mi è capitato di recente di essere invitato da una coppia di conoscenti a vedere l'appartamento bellissimo da loro comprato qualche mese fa, completamente ristrutturato e con un arredamento tutto nuovo. Sono rimasto basito: tutti gli ambienti erano arredati con colori grigi, dal grigio chiaro al grigio scuro, più poche cose nere o bianche; un appartamento in bianco e nero, con mobili dalle linee sagomate, drittissime e freddissime. Qualcuno mi ha detto che adesso è di moda così: ti affidi a un geometra o a un architetto, che arreda tutti gli appartamenti in questo modo, perchè adesso sono di moda così. Niente di particolare, niente di colorato, di allegro, niente di stravagante, di eccentrico: tutto troppo anonimo, almeno per i miei gusti.

Anche la pubblicità, non potendo decantare qualità particolari dei prodotti, perchè tutti sono relativamente simili, perlopiù ci invita a comprare oggetti vendendoci sentimenti o narcisismi vari, facendoci così perdere l'abitudine a rapportarci con gli oggetti (e con noi stessi) in modo davvero personale (cosa voglio davvero? mi piace davvero quella cosa? ne ho bisogno davvero?).

La domanda è: vivendo in un mondo pieno di cose standardizzate, non si rischia di arrivare anche a perdere il contatto con l'idea che sia possibile vivere la propria vita in modo diverso da ciò che fanno tutti, perdendo di vista il valore dell'unicità del proprio essere?  

Io credo che questa generale standardizzazione dei prodotti contribuisca a far sì che, anche nel rapporto con noi stessi, piano piano, ci dimentichiamo che possiamo costruire la nostra vita in modo personale e artigianale, imparando gradualmente, un pezzettino oggi e uno domani, giorno dopo giorno, l'arte del vivere e mettendola in pratica secondo il nostro modo autentico di sentire e di pensare. 

Le nostre diversità spesso vengono classificate malattie perché misurate in base ai canoni e alle abitudini della maggioranza delle persone. 

E' anche da qui che nascono molte ansie, molti attacchi di panico e molte depressioni: dal fatto di non essere standardizzati, di non aderire pienamente ai modelli e ai risultati che ci vengono proposti e richiesti dalla società. Non solo gli oggetti, ma anche il nostro tempo e la nostra testa rischiano di diventare standardizzati: il pensare in modo personale diventa estremamente difficile da praticare e spesso viene guardato con sospetto o addirittura contrastato. 

Così, mi viene da pensare che, quando varcano la soglia del mio studio per la prima volta, i miei pazienti che stanno male perchè si sentono disorientati o sbagliati, entrino nella bottega di un artigiano della psiche, dove il lavoro consiste fondamentalmente nel rimettersi in contatto col proprio modo di pensare e sentire, con i propri valori, con ciò che dà senso alla propria vita, per dare valore a quei pensieri,  sentimenti, comportamenti e relazioni che sono il frutto di ciò che è autentico e unico dentro di sè, per poi cercare di viverli senza sentirsi sbagliati.

Vivere la vita in modo artigianale anzichè standardizzato favorisce molto la salute mentale perché fa crescere la consapevolezza delle differenze individuali e del fatto che abbiamo tutti diritto di essere quello che siamo, anche se ciascuno di noi è diverso da tutti gli altri, esattamente come gli artigiani o gli artisti producono i propri prodotti in base a ciò che sentono autentico dentro di sè e non misurano il proprio valore in base a ciò che fanno gli altri, rispettando così la propria e l'altrui diversità.     

domenica 17 gennaio 2021

il bandolo della matassa

 

Quando siamo a terra,

quando ci sentiamo estranei a noi stessi,

quando non sappiamo che pesci pigliare

e in quale direzione andare,

 

ricordiamoci che

il bandolo della matassa

è dentro di noi,

esattamente al centro di noi.

 

Cerchiamo di entrare in contatto

con le poche o tante

cose sicure di noi

che conosciamo.

 

Il bandolo è proprio lì,

sta accanto a ciò che ci appartiene,

ai nostri pensieri più veri,

alle nostre emozioni sincere,

 

al nostro modo di essere

che sentiamo davvero nostro,

anche se pochi o nessuno

lo riconosce e lo apprezza.

 

Il bandolo può essere nascosto

sotto le paure e la disistima di sé

che qualcuno ci può avere

appiccicato addosso.

E spesso bisogna scegliere:

vivere nella verità

o nell'apparenza,

essere se stessi

o piacere agli altri.

 

Una sola cosa è certa:

che il bandolo è sempre dentro di noi,

nel luogo più vero che abbiamo,

proprio lì,

dove continuamente nasciamo.

martedì 12 gennaio 2021

un mondo d'amore

I bambini hanno una grandissima capacità di percepire i sentimenti autentici che i genitori provano perché non hanno ancora tutte quelle sovrastrutture razionali che noi adulti ci siamo costruiti nel tempo.

Essi appartengono più di noi adulti al mondo della natura e, come gli animali, hanno delle antenne potentissime che permettono loro di percepire le emozioni e gli stati d’animo di chi hanno intorno.

Se noi siamo tristi e angosciati, i bambini lo sentono, a meno che non siamo così bravi da interrompere il flusso interno di questi sentimenti quando siamo con loro; è però sufficiente che ne rimanga qualche traccia percepibile perché loro la avvertano.

E non serve a nulla dire: "sto benissimo" quando coi gesti, col tono della voce, con gli sguardi e col nostro umore triste stiamo comunicando loro il nostro malessere.

Un bambino sa perfettamente quando un genitore è felice o quando è preoccupato; se in quest'ultimo caso noi facciamo finta di stare bene, il bambino percepisce che lo stiamo imbrogliando e non potrà avere con noi un rapporto sincero riguardo a questo imbroglio che, dolorosamente, si terrà dentro sentendosi terribilmente solo e senza fiducia, chiedendosi perchè mai il genitore abbia mentito. 

Riceverà due messaggi contemporanei e opposti (a parole "sto bene", nei fatti "sto male") e quindi non ci capirà più nulla, si sentirà confuso e ciò lo farà sentire abbandonato a se stesso, solo e triste.

martedì 5 gennaio 2021

ho dimenticato qualcosa?

Cerchiamo di non esagerare, la vita normalmente consiste solo di questo: nascereessere figlio, diventare adolescente poi adulto, conoscersi, misurarsi col coraggio e la paura, divertirsi, soffrire,  innamorarsi, riuscire ad amare qualcuno, avere buoni rapporti con gli animali e la natura, saper stare da soli, avere degli amici, delle passioni, un lavoro e una casa, a volte vivere in coppia e diventare genitore, raggiungere il massimo delle energie fisiche, iniziare a declinare in modo naturale, sopravvivere alle separazioni e ai lutti e, per ultimo, preparare il commiato affrontando il mistero della morte.

Ho dimenticato qualcosa?

venerdì 1 gennaio 2021

pandemia: mi dà pena/mi dà pane

Ogni tanto gioco con le parole, le anagrammo per vedere quali altre parole o frasi si possono creare modificando la posizione delle lettere. Non è un gioco solo di testa, ma anche di cuore, comunque di curiosità, è un gioco. Ieri ho fatto questo gioco con la parola pandemia e ho fatto una scoperta interessante.  Non vi sembra strano che la parola pandemia contenga al suo interno due frasi dal significato opposto: mi dà pena e mi dà pane

La pena ricorda un tormento, una perdita, un lutto, mentre il pane ricorda il cibo fondamentale, il nutrimento che ha sfamato l'umanità fin dalle sue origini. Il pane è nutrimento, la pena è sofferenza. Cosa vi fa pensare il fatto che entrambi questi concetti sono dentro a questa parola?

Anche la parola crisi, etimologicamente, ha due significati opposti, che sono: pericolo e opportunità. Questo dualismo, nel mio lavoro, lo sperimento ogni giorno. Quando arriva un paziente nuovo, è sempre in crisi e perciò si sente in pericolo, ma da questa crisi, se andrà bene, potrà uscirne trasformato in positivo, potrà superare i suoi problemi esistenziali e rinascere a nuova vita, scoprendo una possibilità di stare al mondo più autentica e benefica. La crisi è sempre un momento di svolta, in peggio oppure in meglio.

Non è quindi così strano che la parola pandemia, che definisce una situazione assai critica, contenga al suo interno sia la frase mi dà pena che l'opposta mi dà pane.  Ma in che senso la pandemia può essere pane? Di che tipo di nutrimento si tratta? Qui ciascuno può dire la sua. Per me, che la pandemia possa diventare pane, alimento che lievita, può  avvenire soprattutto se riusciamo a fare pace con la nostra umanità, sentendoci davvero simili agli altri nella nostra invalicabile finitezza, abbandonando l'arroganza di crederci onnipotenti o immortali (cosa che, per inciso, ci riempie di inquietudine, perchè porta con sè la costante paura della morte).

Non c'è niente di altrettanto rasserenante dell'accettare da un lato la realtà della condizione umana, il fatto che non possiamo controllare tutto, mentre dall'altro cerchiamo di fare comunque del nostro meglio per vivere l'unica vita che abbiamo nel modo più sensato e concreto, dentro ai confini del possibile, cercando di migliorarci, ma senza fantasie di onnipotenza. Una vita dove possano coesistere bene e male, gioia e dolore, allegria e tristezza, perchè è sempre stato così ed è normale che sia così, perchè queste sono le regole del gioco.

Ecco, per il 2021 vi auguro di non diventare troppo unilaterali, di essere sempre più capaci di vivere integrando creativamente gli opposti, perché la dinamicità  creativa della vita si manifesta proprio quando non siamo prigionieri dell'unilateralità, che porta al fanatismo, alla radicalizzazione, all'assolutismo, all'isolamento, all'immobilismo e alla paura.