lunedì 28 settembre 2020

senza chiedere niente in cambio

Uno dei più grandi desideri che tutti noi abbiamo è di conoscere qualche persona che, senza chiedere nulla in cambio, faccia qualcosa per noi.

Ieri stavo parlando con una giovane collega che conosco da poco ma stimo moltissimo perchè si prende davvero cura dei suoi pazienti e cerca di fare del suo meglio per aiutarli a risolvere i loro problemi. E' una persona molto semplice, che si mette sempre in discussione e che ha molta voglia di riuscire a fare sempre meglio il suo lavoro.

A un certo punto molto spontaneamente le ho detto:"Ma sai che sei proprio brava nel tuo lavoro?". E poi, per chiarire il senso del mio apprezzamento, ho aggiunto: "Guarda che te lo dico gratis..." (e non stavo mentendo).

Ecco, questo gratis che mi è uscito di bocca mi ha fatto pensare a quanto è importante che qualcuno faccia qualcosa di buono per gli altri in modo gratuito, senza chiedere nulla in cambio, solo per il piacere di farlo.

Molte persone sono dominate dal desiderio di trarre dalle loro azioni solamente un profitto personale, salvo che poi non sono mai soddisfatte, perché non c'è mai un limite al desiderio e niente dà loro una serenità interiore che duri nel tempo. Per molti gratis è una parola che ha un senso solo se riescono ad ottenere qualcosa gratuitamente, senza spendere soldi o fare fatica. Ricordo una bellissima definizione del narcisista, credo sia di Woody Allen, che suona più o meno così: "Il narcisista vuole prendere la caramella che c'è nella macchinetta distributrice, ma senza infilare la monetina".

A me è capitato spesso di vedere la meraviglia nel viso di persone cui avevo fatto una gentilezza per il puro piacere di farla. Una volta, ad esempio, è caduto a terra un oggetto a una signora che camminava davanti a me, io l'ho raccolto e affrettando il passo l'ho raggiunta; lei si è girata con un po' di paura, poi quando ha visto il mio sorriso e ha capito che volevo solo farle una cortesia, è rimasta un attimo imbambolata come se non credesse ai suoi occhi...

Ma il nostro mondo è quello in cui viviamo. Se riusciamo a fare in modo che nel nostro mondo ci sia qualcuno che è un po' più felice, magari più fiducioso nel prossimo, forse abbiamo fatto una piccola cosa per migliorarlo davvero. Invece, se ci lamentiamo solamente che il mondo va male e non facciamo niente di positivo per migliorarlo e stiamo sempre ad aspettare che qualcuno faccia qualcosa di gentile per noi, forse non stiamo facendo la cosa giusta. 

Sono d'accordo con l'I King, l'antico testo cinese, che dice:" Per combattere a fondo il male bisogna fare il bene", ma deve essere un bene veramente sentito, non formale, che dobbiamo indirizzare anche verso noi stessi, altrimenti rischiamo di diventare tristi, pessimisti o addirittura cinici perchè, non sapendo concederci un po' di bene, diventiamo troppo bisognosi dell'affetto degli altri.     

   

mercoledì 23 settembre 2020

la paura di vivere degli adolescenti

Qualche anno fa, quando ho saputo per la prima volta dell'esistenza degli hikikomori non mi sono troppo preoccupato: sono lontani da noi, pensavo, è un fenomeno che riguarda la società giapponese. Gli hikikomori sono quei ragazzi giapponesi che vivono perennemente chiusi nella loro stanza per protestare contro la società nipponica; solo raramente escono di casa e nei casi più gravi i genitori lasciano loro il cibo fuori dalla porta della camera, senza entrare.  

Poi, col tempo, ho scoperto che i ragazzi che restano rinchiusi in casa, ci sono anche in Italia, anche se non hanno motivazioni politiche e sociali come i loro coetanei giapponesi; nel mio lavoro ne ho conosciuti alcuni e parlando con loro ho capito qual'è il loro problema: la paura di vivere. 

Può sembrare incredibile, ma esistono dei ragazzi molto intelligenti, gentili, a prima vista normalissimi, che hanno delle gravissime lacune nel sapere cosa vogliono, cosa valgono, come ci si rapporta con gli altri, come ci si muove nel mondo reale. Perciò hanno paura di uscire di casa, una paura paralizzante di relazionarsi con altre persone per qualsiasi motivo. Una delle poche cose che riescono a fare in compagnia è passare il tempo con un gruppetto di amici simili a loro a fare giochi di ruolo molto complessi, con tornei che a volte durano mesi, vivendo in un mondo virtuale, anche se stanno insieme a giocare in presenza. Per la maggior parte sono maschi e non hanno praticamente relazioni con le coetanee.

Non sono scansafatiche, semplicemente non hanno le competenze necessarie per vivere per cui l'unica cosa che riescono a fare è giocare, perché non hanno la capacità di assumersi responsabilità nel mondo reale.

Sto parlando di ragazzi di 20-25 anni seri, intelligenti, educati, rispettosi, di buona famiglia. Spesso non hanno la minima idea di quale lavoro vorrebbero fare, qualcuno si è bloccato da anni all'ultimo anno dell'università e non ha più dato esami. I genitori non sanno cosa fare, così arrivano da me.

Ed è come se io dovessi insegnare loro tutto quello che ho insegnato a mio figlio da quando aveva 3-4 anni fino ad adesso che ne ha 20: ascoltare e conoscere ciò che sentono davvero vero per loro, il coraggio di metterlo in pratica, la normalità delle frustrazioni, dei propri limiti e dei propri sbagli, l'accontentarsi di piccoli progressi, ecc

E quello che mi chiedo sempre è: ma dov'erano questi genitori in tutti questi anni, cosa diavolo gli hanno insegnato, perché hanno lasciato che la situazione rimanesse bloccata per tanti anni, non vedevano che loro figlio stava male?

Mi viene da pensare che alla rappresentazione della società e del modo di vivere adulto data loro dai genitori, questi ragazzi abbiano risposto chiudendosi in camera loro, unico porto sicuro che li ha potuto proteggere dalle tempeste che si sono abituati a vedere o a immaginare nel mondo degli adulti.

Una volta uno di questi ragazzi mi disse che, provando dei fortissimi sensi di colpa per non riuscire a fare le cose che avrebbe dovuto fare, non si sentiva nemmeno legittimato a fare le cose che gli sarebbe piaciuto fare. Forse in questa frase c'è qualcosa che spiega l'origine del problema: un'autostima bassissima e un eccesso di colpevolizzazione che annichiliscono, che inibiscono ogni naturale manifestazione di energia vitale o, più semplicemente, paura di vivere.

Quando il lavoro psicologico va bene, li vedo riaprirsi pian piano alla vita, scoprono di avere qualità da spendere nel rapporto con gli altri, cresce la sicurezza e la fiducia in se stessi, ed è una specie di seconda nascita: rinascono al mondo ed escono tutti i giorni di casa.  

mercoledì 16 settembre 2020

per una ecologia della mente

 Oggi una mia paziente mi ha chiesto: vorrei sapere cosa ne pensa lei di quelli che, irrazionalmente, negano l'evidenza dei fatti, cioè la contagiosita' e la mortalità  del Covid e sostengono che non esiste, di quelli che pensano che c'è qualcuno che ci vuole limitare la libertà e danneggiarci coi vaccini, ecc.

Io credo che ciascuno possa avere le proprie opinioni, che possa non credere alla scienza o alla medicina, e in generale avere delle opinioni diverse su qualsiasi tema ed argomento. Ci mancherebbe! Non è questo il problema! 

Io sono preoccupato quando vedo il terrore profondo che anima certe persone che devono essere sicure al 100% che le loro idee sono giuste e questa sicurezza è così profondamente interiorizzata che qualunque cosa un altro possa dire per invitarli a un dialogo razionale, non la ascoltano nemmeno o la ascoltano con sufficienza per un po' per poi ribadire con assoluta certezza il loro incontrastabile punto di vista. Questo mi spaventa, perchè nella mia esperienza lavorativa ne ho visti parecchi di pazienti con tratti di personalità paranoici coi quali qualsiasi dialogo razionale è impossibile e so che una umanità composta di persone siffatte non può che portare ad avere sempre dei nemici da combattere ed eliminare. 

I paranoici non possono vivere senza nemici, perchè dividono il mondo con un taglio netto in due fette: da una parte chi la pensa come loro (amici) e dall'altra chi la pensa diversamente da loro (nemici) e tra queste due fette c'è uno spazio che rimane tristemente vuoto, inaccessibile al dialogo; al confine non ci si può trovare per parlare e dialogare perchè mors tua, vita mea: quindi devo eliminarti: URSS contro USA, guerra fredda, bombe atomiche, il dottor Stranamore (ricordate?), mentre anche oggi Trump è orgoglioso di annunciare al mondo che è l'unico ad avere delle armi che possono eliminare una volta per tutte qualsiasi nemico.

E' la violenza assoluta anche solo verbale verso l'altro che mi spaventa, la violenza che nasce dal terrore di soccombere, di essere finito se ciò che pensa l'altro si rivelasse vero. E da ciò nasce la necessità di eliminare l'altro, per sopravvivere, per non morire. Immaginate cosa sarebbe la nostra società se aumentasse sempre più il numero delle persone con le quali è impossibile dialogare, che o la pensi come loro o sei una minaccia da eliminare.

Chiunque ha avuto a che fare con una persona con dei tratti paranoici di personalità sa di cosa sto parlando: l'impossibilità di un dialogo, di un confronto civile, perchè per un paranoico non ha diritto di esistere niente che sia diverso dalla sua verità.

Credo che bisognerebbe far nascere intese a livello globale per cercare di affrontare questo problema, che non ha meno valore di quello ecologico: l'ecologia della mente non è meno importante dell'ecologia della Terra! 

Mentre dico questo sento già la critica che farebbe il gruppo di paranoici: "ecco, vedi, il paranoico sei tu, che hai paura di noi, sei violento e ci vorresti togliere di mezzo, noi invece con la nostra lotta vogliamo salvare anche te"! E questo è esattamente il punto aldilà del quale non si riesce ad andare nel dialogo razionale con i paranoici a meno che non si riesca con molta fatica a portarli ad avere più autostima, a sentire dei sentimenti caldi e affettuosi per sè, in modo che non siano così tanto spaventati dal mondo esterno, dagli altri. Ogni volta che riusciamo a raggiungere una sufficiente autostima o aiutiamo gli altri a farlo, stiamo togliendo spazio alla paranoia e quindi stiamo migliorando il mondo, stiamo allargando gli spazi del rispetto, del dialogo e dell'amore reciproco. 

Ecco, adesso posso dirvi cosa ho risposto oggi alla domanda della mia paziente: 

temo che sempre più persone diventino paranoiche sia a livello individuale che a livello sociale più di quanto io tema il Coronavirus o qualsiasi altra cosa.




giovedì 10 settembre 2020

il medico di famiglia

 


Credo molto nell'utilità del medico di base (o di famiglia, o di medicina generale, che dir si voglia).

Penso che ciascuno dovrebbe avere un medico di base che lo ascolti con attenzione e che non si concentri solo sulla parte del corpo malata, perché spesso quella parte del corpo è malata anche perché c'è qualcosa che non va dal punto di vista psicologico.
Alcune statistiche dicono che almeno il 40-50% dei problemi fisici portati al medico di base hanno come causa o concausa problemi psicologici: solitudine, ansia, depressione, ipocondria, ossessioni, ecc.

So che non è facile trovare medici di base che si interessino anche dello stato emotivo del paziente, ma credo che bisognerebbe cambiare medico fino a quando non se ne trovi uno col quale sia possibile avere una relazione fatta anche di un minimo di ascolto e di dialogo, che, ad esempio, ci chieda e poi si ricordi come, dove e con chi viviamo.

Purtroppo l'università non dà una formazione adeguata al medico riguardo alla relazione emotiva col paziente e quasi tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli.
E' vero che la professione medica è sovraccarica di incombenze e problemi burocratici e non penso che il medico dovrebbe fare anche lo psicologo, però almeno un pochino sì.

Solamente negli ultimi anni, a causa dei tagli alla spesa pubblica nel settore della sanità, sembra che si stia pensando di offrire ai medici un po' di formazione sul rapporto psicologico col paziente, al fine di risparmiare sulle prescrizioni dei farmaci.
Speriamo che la crisi economica abbia almeno questo effetto collaterale positivo!

mercoledì 9 settembre 2020

Carpe diem (cogli il giorno)


Sulla necessità di vivere il tempo presente senza indugiare troppo sul passato o senza pensare troppo al futuro sono stati scritti molti saggi e trattati.

Nel primo secolo a.C. Orazio scrisse questa breve e semplice poesia intitolata Carpe diem, che forse compendia in sé tutto quello che di veramente importante si può dire sull'argomento.

A mio parere non è un inno a godere unicamente l'attimo presente e a fregarsene di tutto il resto (come purtroppo capita spesso di veder fare al giorno d'oggi),  è piuttosto un invito ad onorare ogni momento della vita che ci è concesso vivendola a fondo con consapevolezza, senza sprecarla inutilmente in vani lamenti o in desideri inappagabili di immortalità (oggi si parlerebbe di mindfulness o buddhità).

Mi è anche venuto da pensare che accostando al Carpe diem (cogli il giorno) di Orazio il Panta rei di Eraclito (tutto scorre, la realtà è in continuo divenire), si ha una sintesi degli aspetti statici e dinamici della realtà, che sempre si trasforma ma che può essere vissuta consapevolmente in ogni momento. 

E' curioso che mi sia capitato di rileggere questa poesia per caso dopo tanti anni, mentre facevo delle ricerche su internet per risolvere la definizione di un cruciverba che riguardava Orazio (!). L'avevo forse studiata al liceo tanti anni fa, ma quando l'ho riletta mi ha attirato e affascinato: per qualche minuto ho avuto la necessità di rileggerla più volte lentamente, gustandola come un ottimo vino rosso pregiato, sorso dopo sorso.   

Eccola (notate la forza del primo e del quinto verso):


Tu non chiedere, è vietato sapere 

quale fine a me, quale a te 

gli dei abbiano assegnato, o Leucone,  

e non consultare la cabala babilonese. 

Quanto è meglio, qualsiasi cosa sarà,  accettarla!

Sia che Giove abbia assegnato più inverni, 

sia che abbia assegnato come ultimo

quello che ora sfianca con le scogliere di pomice 

che gli si oppongono il mare Tirreno, 

sii saggia: filtra il vino 

e ad una breve scadenza limita la lunga speranza.

Mentre parliamo sarà fuggito, inesorabile il tempo: 

cogli il giorno, il meno possibile fiduciosa in quello successivo.

Orazio (Carm. 1,11)

mercoledì 2 settembre 2020

la scala che sale verso il cielo

 


Fin da piccolo gli avevano detto che il senso della vita consiste nel salire più in alto possibile, vincendo la concorrenza degli altri.

Così, quando camminando trovò una scala che saliva diritta verso il cielo, non esitò ad afferrarla e cominciò ad arrampicarsi con gioiosa energia.
Gradino dopo gradino si innalzava sempre più dalla terra e più saliva, più era felice.
Provava la piacevole ebbrezza di fare qualcosa di bello e di buono, qualcosa che tutti gli altri approvavano e avrebbero desiderato fare.
Vedeva che intorno a lui c'erano molte altre scale con altri arrampicatori, ma lui era davvero veloce nel salire, mentre gli altri rimanevano inesorabilmente più in basso. Questa consapevolezza lo rendeva felice, perché si rendeva conto di essere migliore, più capace degli altri.

Negli anni era salito così in alto che pochi avevano raggiunto la sua altezza e la terra era molto, molto più in basso.
Poi un giorno fece una cosa che non aveva mai fatto: si sporse, guardò di sotto ed ebbe un capogiro, sentì la paura di cadere di sotto e si aggrappò con tutta la sua forza alla scala, col cuore che batteva forte, cercando di recuperare la sua freddezza, ma niente ormai era più come prima.
Aveva perso la sua grande sicurezza, aveva vacillato, e le gambe erano percorse da un tremore nuovo, sconosciuto e fastidioso. Il respiro si era fatto corto e un po' ansimante, il cuore sembrava impazzito: aveva paura di cadere di sotto, di schiantarsi, si rese conto che era salito tanto in alto che una caduta improvvisa gli sarebbe stata fatale.
Così si ritrovò nel dubbio: una parte di lui voleva restare in alto, a godersi i meriti della posizione di privilegio che si era guadagnato con la sua capacità di scalatore, mentre un'altra parte gli faceva intendere che sarebbe stato meglio scendere gradualmente verso il basso.
Guardava giù e pensava a come stavano bene quelli che erano in basso, sulla terra, loro sì che potevano muoversi tranquillamente senza correre il rischio di precipitare.
Lui rimase lì, fermo, bloccato, con gli occhi chiusi, incapace sia di salire che di scendere, con le mani che stringevano con forza quella scala che aveva salito con tanto slancio e tanta felicità per tutta la sua vita.