domenica 26 dicembre 2021

il sonno della ragione genera mostri

Il sonno della ragione genera mostri - Francisco Goya - 1797

La cosa che mi preoccupa di più per il 2022 e per gli anni successivi non è la pandemia, che pure è un problema molto grande. A mio avviso esiste un problema psichico che è sempre più diffuso e che è potenzialmente in grado di minare alla radice il nostro modo di vivere le relazioni con gli altri.
Questo problema si chiama paranoia
La paranoia è una spinta interiore che ci obbliga a vivere chi è diverso da noi come un nemico da eliminare, da togliere di mezzo ad ogni costo. La paranoia è il motivo per cui nascono le guerre più atroci, gli sterminii sistematici di persone, di un'etnia o di una religione diversa, ma anche l'odio assoluto per il vicino di casa o per chi ci taglia la strada in automobile. 
Il nemico di turno viene vissuto come il colpevole dei mali che ci affliggono. Col paranoico il dialogo è impossibile perchè la sua certezza nella bontà delle proprie ragioni è blindata, inaccattabile, inscalfibile, anche se gli citiamo dati reali, verità concrete.
Tutti abbiamo dentro di noi un certo livello di paranoia, ma per fortuna la maggior parte di noi riesce a tenerlo sotto controllo.
Questa patologia individuale può diventare collettiva e questo è un gravissimo problema. Il sonno della ragione genera mostri disse Francisco Goya, che così intitolò una sua famosissima opera. Si potrebbe riferire alla paranoia una famosa frase di Marx: Uno spettro si aggira per l'Europa, estendendo il concetto a tutto il nostro mondo.
Credo che sia importante per tutti conoscere cosa è la paranoia perchè conoscere le cose è il modo migliore per difendersene; per questo vi metto qui sotto il link ad un articolo scritto da un mio amico e collega che in dieci pagine, con parole comprensibili a tutti descrive le cose più importanti che è necessario sapere sull'argomento. Provate a dargli un'occhiata.
Credo che se ci sforzeremo di tenere sufficientemente sotto controllo gli aspetti paranoici potenzialmente presenti in ciascuno di noi e a riconoscerli negli altri al fine di depotenziarli, contribuiremo a garantire a noi tutti la possibilità di continuare a vivere in un  mondo caratterizzato prevalentemente dal dialogo e dal rispetto dell'altro. Nel caso in cui gli aspetti paranoici dovessero disgraziatamente prendere il sopravvento, ci troveremmo nella difficoltà non solo di sconfiggere un virus, ma di vivere in un mondo in cui sia possibile godere felicemente di relazioni umane nutrienti e creative.







venerdì 17 dicembre 2021

lunedì 13 dicembre 2021

giustizia esistenziale

La scorsa settimana stavo parlando con una collega dell'atteggiamento emotivo che ho in generale con tutti i miei pazienti. Le dicevo del mio profondo dispiacere perchè molti di loro, soprattutto i più giovani, soffrono tanto per cause indipendenti dalla loro volontà, che non permettono loro di conoscere e vivere tutte le belle doti e caratteristiche che fanno parte della loro personalità.

La mia collega mi ha detto che spesso ha sentito in me come una sete di giustizia esistenziale. 

E' vero, mi sembra una definizione parecchio azzeccata. In realtà mi dispiace tantissimo che una persona non sia consapevole e non riesca a vivere tutto il bello che ha dentro di sè. Mi sembra una cosa davvero contro natura, un'ingiustizia, uno spreco, un po' come quando ci sono dei bambini che vengono maltrattati.

In certi momenti vorrei aggiustare le cose, far diventare la situazione più equa, vorrei essere il vendicatore buono che si butta dalla parte dei deboli per aiutarli a non subire più ingiuste prevaricazioni.

Non riesco a concepire il mio lavoro senza questa partecipazione emotiva.



mercoledì 8 dicembre 2021

il tema di italiano è terapeutico

 


Concordo totalmente con questo articolo scritto da Paola Mastrocola pubblicato sul quotidiano La Stampa, che ho trovato sul bellissimo blog di Andrea Sacchini Il blog di Andrea. C'è una profonda verità in queste parole che mi hanno fatto venire in mente tanti miei pazienti ventenni che conoscono poco o niente di chi sono veramente, di cosa c'è nella loro interiorità. Forse se avessero avuto la possibilità di scrivere più temi avrebbero potuto conoscere qualcosa di più della loro essenza.

Da almeno vent’anni quella particolare prova scolastica che si chiama tema viene criticata e osteggiata, anche da illustri intellettuali, nonché stravolta e snaturata da riforme, teorie e sperimentazioni varie. Ultimamente, prima dell’emergenza Covid, alla prova di italiano dell’esame di Stato si sottoponevano al candidato circa 8-10 pagine fotocopiate fitte: il testo di un autore, cui seguivano una serie di domande cui rispondere. Poi, con il Covid, il nulla. E ora gli studenti chiedono l’abolizione delle prove scritte. Il ministro, dice, riflette e ci farà sapere.

Chiaro che il tema è stato ucciso. Scrivere un tema non è leggere pagine di altri, più o meno riassumerle e incollarle, e rispondere a una batteria di domande: scrivere un tema è scrivere. Da soli e liberi. Senza griglie, schemi, istruzioni per l’uso e riassuntini premasticati. Fare un tema è quella particolarissima, e unica, attività che consiste nell’esprimere idee proprie, pensieri propri, sentimenti propri, in uno stile proprio. Esprimere. Bellissimo verbo, che viene dal latino ex-premere, premere fuori, premere per far uscire, estrarre. La capacità di espressione è semplicemente questo: saper usare le parole in modo che estraggano, il più esattamente possibile, quel che abbiamo dentro.

Possedere la capacità di esprimere pensieri e sentimenti mi pare importantissimo, per una semplice ragione: pensieri e sentimenti stanno normalmente nascosti in noi, come in uno scrigno chiuso; se non siamo capaci di tirarli fuori, nessuno li vedrà (nemmeno noi), e a quel punto diventerà persino inutile pensare e sentire. E credo che nessuno voglia un’umanità che vive tenendosi chiusi in sé i pensieri e i sentimenti. Saremmo scrigni ambulanti, il cui tesoro rimane per sempre sconosciuto. Fare un tema, per un ragazzo, è mostrare quanto ha studiato, quanto ha letto, meditato, capito del mondo intorno a lui; ma è anche, soprattutto, rivelarsi. Svelarsi, aprirsi (aprire lo scrigno), avere la preziosa possibilità di dire qualcosa di sé fuori dagli schemi. Esattamente quel che fa uno scrittore. Non è poco… (E mi dispiace che gli studenti che ora chiedono di abolire le prove scritte non vedano la bellezza di questa opportunità). Nessun’altra verifica, di nessun’altra disciplina, può fare altrettanto. Infatti il tema non è una verifica come le altre. Non userei mai la parola verifica, per un tema, tantomeno “verifica delle competenze” (se smettessimo di usare queste parole così piatte e deprimenti…!). Il tema mi è sempre parso una felice anomalia, un regalo extra che la scuola fa agli studenti, come dire va bene, ora fai pure le verifiche tecniche sacrosante, di matematica, latino e greco, informatica, chimica; ma prima di tutto fai un tema! Cioè, semplicemente, scrivi! Prenditi questa pausa dalla scuola, questo momento tutto tuo per dire quel che vuoi, quel che sei. Dovremmo chiamarla Scrittura, la prova di italiano, e neanche Prova di scrittura ma “Momento di scrittura”.

Credo che una scuola che abolisca il tema, e non lo preveda come prova finale alla maturità, sia una scuola che nega la libertà, che toglie ai ragazzi l’opportunità di esprimere i loro liberi pensieri.

Ma il tema prima di tutto dev’essere libero. Dobbiamo rimettere il tema nella scuola, e liberarlo. Che sia il più possibile privo di costrizioni. Niente griglie, niente schemi preconfezionati, niente risposte a domandine o test. Solo una breve e chiara indicazione dell’argomento: una riga, dieci righe, non di più, quel che una volta si chiamava il titolo. E poi il foglio bianco. Lo so che fa paura a tutti. È un po’ come quando affittiamo casa e la dobbiamo ammobiliare. Ci prende lo sconforto, non sappiamo quali mobili mettere e come disporli. Proviamo, riproviamo. Ma alla fine ci riusciamo, e quella è casa nostra. Il foglio bianco è fondamentale. Scrivere è avere sempre, di continuo, un foglio bianco davanti. È proprio questa la sfida: riempirlo. Se non è bianco, quel foglio, noi siamo inutili, pleonastici: cosa ci stiamo a fare davanti a un foglio che è già pieno?

Scrivere è la cosa migliore che possiamo augurare a un nostro allievo per il suo futuro: non perché diventi scrittore, ma perché, qualunque lavoro deciderà di fare, sia capace di scrivere, possa farlo ogni volta che lo vorrà.

Non è facile imparare a scrivere. Ci vuole tempo (più che corsi di scrittura creativa). Alle elementari non saremo tanto capaci di farlo, e forse nemmeno tanto alle medie. Ma alle superiori forse sì, e da adulti ancor di più. L’uso della parola cresce con noi. È come una pianta. Ma bisogna coltivarla. Bisogna che quell’uso diventi esercizio quasi quotidiano, negli anni, fin dalla più tenera età. È importante che la scuola faccia questo lavoro, che ci creda. Soprattutto oggi, che viviamo tutti irretiti dai social e pensiamo che mandare una battuta su Instagram sia scrivere. La scrittura ha bisogno di distendersi: in frasi, periodi e pagine, dove tutto sia collegato da un filo che si chiama ragionamento. Noi abbiamo spezzato i fili del ragionamento. La scuola deve aiutarci a riprenderli, invece di tagliare quei pochi fili che ci sono rimasti, per esempio abolendo le prove scritte.

Paola Mastrocola - La Stampa 8/12/2021

domenica 5 dicembre 2021

piacere e dovere


Quando ero bambino e non avevo voglia di studiare, mia madre spesso mi ripeteva un imperativo allora molto popolare: prima il dovere e poi il piacere! intendendo che prima avrei dovuto studiare e poi avrei potuto andare a giocare. Oggi non credo che questo modo di dire sia così diffuso.

In realtà, il rapporto tra dovere e piacere è una questione di fondo che interroga radicalmente la nostra esistenza. Mentre fino a cinquant'anni fa nella nostra società prevaleva il principio del dovere, ora domina quello del piacere: oggi si tende a pensare che si deve godere al massimo ogni istante della nostra vita presente e futura, spesso anche a costo di trascurare i bisogni degli altri. Credo però che l'idea di dover godere il più possibile per essere sempre felici non faccia vivere davvero meglio, perchè, in fondo, si tratta sempre di obbedire a un dovere assoluto.

Se il dovere o il piacere vengono considerati, disgiuntamente, come assoluti, cioè come "il modo unico" per essere felici, facilmente ci possono portare fuori strada. Ho visto molte persone che hanno rischiato di perdersi sia sotto il peso di un senso del dovere troppo forte che di una ricerca del piacere eccessiva e unilaterale. 

Da questo punto di vista, mi pare eccessivo sia  l'atteggiamento dei genitori che spingono i figli a dover sempre raggiungere il massimo dei voti, sia quello di chi non si pone seriamente il problema di far capire ai figli che non possono stare al mondo solo per divertirsi ma che a volte è necessario anche fare fatica.

Secondo me fare fatica, fare il proprio dovere, deve avere un senso compiuto per chi lo fa, altrimenti diventa solo una sterile imposizione-costrizione, come l'obbligo di andare a Messa solo per adempiere a un'abitudine, a una formalità. 

In generale, il dovere ha senso solo se nella nostra vita c'è uno spazio legittimo e adeguato anche per il piacere. Se il dovere è imposto come obbligo assoluto non ha senso; solo se viene relativizzato e accettato consapevolmente ha un senso e contribuisce al benessere e alla crescita umana e psicologica di una persona.

Anche il piacere di apparire e di godere, se non è scelto all'interno di un orizzonte di senso individuale ma è cercato in modo assoluto come un obbligo sociale, come proposto ossessivamente dalla pubblicità e dai mass-media, può generare una grande infelicità perchè capita a tutti, prima o poi, qualche problema, qualche momento di dubbio o di crisi. Idolatrando il piacere, si può diventare così refrattari alle frustrazioni, che un piccolo problema ci può deprimere pesantemente oppure un problema molto grande come, ad esempio, la proliferazione di un virus sconosciuto, può portare al terrore panico oppure alla negazione assoluta del problema.

Penso che il piacere e il dovere siano entrambi necessari e aiutino a vivere meglio, a patto che, almeno dall'età della ragione in poi, siano presi in considerazione entrambi con ragionevole consapevolezza. In particolare, credo che dovremmo cercare la nostra risposta individuale alla domanda di senso che il piacere e il dovere ci pongono, spesso congiuntamente, in ogni momento della nostra vita.

Relativizzare piacere e dovere può significare, ad esempio, amare il prossimo come noi stessi, cioè prendersi cura di sè (piacere) ma nello stesso tempo tenere presente anche il bene degli altri, cercando di tenere dei comportamenti che non li danneggino (dovere), con la consapevolezza che se tutti facessimo così, vivremmo sicuramente in un mondo con meno conflitti interpersonali e sociali e con più solidarietà.