mercoledì 23 settembre 2020

la paura di vivere degli adolescenti

Qualche anno fa, quando ho saputo per la prima volta dell'esistenza degli hikikomori non mi sono troppo preoccupato: sono lontani da noi, pensavo, è un fenomeno che riguarda la società giapponese. Gli hikikomori sono quei ragazzi giapponesi che vivono perennemente chiusi nella loro stanza per protestare contro la società nipponica; solo raramente escono di casa e nei casi più gravi i genitori lasciano loro il cibo fuori dalla porta della camera, senza entrare.  

Poi, col tempo, ho scoperto che i ragazzi che restano rinchiusi in casa, ci sono anche in Italia, anche se non hanno motivazioni politiche e sociali come i loro coetanei giapponesi; nel mio lavoro ne ho conosciuti alcuni e parlando con loro ho capito qual'è il loro problema: la paura di vivere. 

Può sembrare incredibile, ma esistono dei ragazzi molto intelligenti, gentili, a prima vista normalissimi, che hanno delle gravissime lacune nel sapere cosa vogliono, cosa valgono, come ci si rapporta con gli altri, come ci si muove nel mondo reale. Perciò hanno paura di uscire di casa, una paura paralizzante di relazionarsi con altre persone per qualsiasi motivo. Una delle poche cose che riescono a fare in compagnia è passare il tempo con un gruppetto di amici simili a loro a fare giochi di ruolo molto complessi, con tornei che a volte durano mesi, vivendo in un mondo virtuale, anche se stanno insieme a giocare in presenza. Per la maggior parte sono maschi e non hanno praticamente relazioni con le coetanee.

Non sono scansafatiche, semplicemente non hanno le competenze necessarie per vivere per cui l'unica cosa che riescono a fare è giocare, perché non hanno la capacità di assumersi responsabilità nel mondo reale.

Sto parlando di ragazzi di 20-25 anni seri, intelligenti, educati, rispettosi, di buona famiglia. Spesso non hanno la minima idea di quale lavoro vorrebbero fare, qualcuno si è bloccato da anni all'ultimo anno dell'università e non ha più dato esami. I genitori non sanno cosa fare, così arrivano da me.

Ed è come se io dovessi insegnare loro tutto quello che ho insegnato a mio figlio da quando aveva 3-4 anni fino ad adesso che ne ha 20: ascoltare e conoscere ciò che sentono davvero vero per loro, il coraggio di metterlo in pratica, la normalità delle frustrazioni, dei propri limiti e dei propri sbagli, l'accontentarsi di piccoli progressi, ecc

E quello che mi chiedo sempre è: ma dov'erano questi genitori in tutti questi anni, cosa diavolo gli hanno insegnato, perché hanno lasciato che la situazione rimanesse bloccata per tanti anni, non vedevano che loro figlio stava male?

Mi viene da pensare che alla rappresentazione della società e del modo di vivere adulto data loro dai genitori, questi ragazzi abbiano risposto chiudendosi in camera loro, unico porto sicuro che li ha potuto proteggere dalle tempeste che si sono abituati a vedere o a immaginare nel mondo degli adulti.

Una volta uno di questi ragazzi mi disse che, provando dei fortissimi sensi di colpa per non riuscire a fare le cose che avrebbe dovuto fare, non si sentiva nemmeno legittimato a fare le cose che gli sarebbe piaciuto fare. Forse in questa frase c'è qualcosa che spiega l'origine del problema: un'autostima bassissima e un eccesso di colpevolizzazione che annichiliscono, che inibiscono ogni naturale manifestazione di energia vitale o, più semplicemente, paura di vivere.

Quando il lavoro psicologico va bene, li vedo riaprirsi pian piano alla vita, scoprono di avere qualità da spendere nel rapporto con gli altri, cresce la sicurezza e la fiducia in se stessi, ed è una specie di seconda nascita: rinascono al mondo ed escono tutti i giorni di casa.  

16 commenti:

OLga ha detto...

E' una situazione terribile,menomale che ci sono gli psicologhi,ammesso che ci vadano.Buona giornata!

Claudia Turchiarulo ha detto...

Ho affrontato questa sindrome anche sul mio blog in passato.
Mi fa piacere che a focalizzare l'attenzione sul ruolo delle famiglie sia un professionista, e non una scribacchina qualunque come la sottoscritta.
Però, anche se tardi, è un bene che i genitori si rivolgano a te.
Altri lasciano direttamente morire i figli nella loro depressione.

Er Matassa ha detto...

Per quanto pratichi arti marziali e (seppur solo in parte, beninteso) conosca la società giapponese, non avevo mai sentito parlare del fenomeno degli hikikomori. Dev'essere veramente terribile provare una paura paralizzante di questo tipo e mi spavento a pensare che vi siano ragazzi che non riescono a uscirne.
Post, dunque, doppiamente interessante: per il fenomeno in sé e per l'origine (e la soluzione) che ne hai indicato.
Un saluto,

EM

giorgio giorgi ha detto...

@OLga: proprio così!

giorgio giorgi ha detto...

@claudia: beh, dai, "scribacchina" mi sembra ingeneroso nei tuoi confronti!

giorgio giorgi ha detto...

@er matassa: un caro saluto anche a te!

giorgio giorgi ha detto...

Il tuo commento tocca alcuni punti importanti. Intanto vorrei dire dell'inconsapevolezza che molti genitori hanno rispetto all'origine dei problemi del figlio. Non sanno perché il figlio è in quelle condizioni.

Poi, il mio lavoro consiste spesso nell'aiutare le persone a ripristinare un modo di essere e di sentire "naturale".Spesso si immagina lo psicologo come un professionista che possiede chissà quali tecniche, in realtà l'oggetto della mia professionalità è far ritornare il paziente alla naturalezza, all'autenticita' del vivere. Il centro del lavoro riguarda la relazione, creare una relazione autentica, naturale e sincera col paziente.

Poi hai centrato un punto fondamentale, i danni vengono spesso da due atteggiamenti opposti dei genitori: la noncuranza e l'eccesso di protezione. Come si può chiedere a dei figli di diventare improvvisamente autonomi e sicuri di sé se li si è sempre protetti ad oltranza? Se non li si è abituati fin da piccoli a desiderare di crescere?

Quanto alla società, la nostra non è certamente una societá che favorisce valori relazionalmente sani: purtroppo il denaro, l'avere e l'apparire sono preponderanti rispetto ad ogni altra cosa.

giorgio giorgi ha detto...

Grazie a lei!

Maria D'Asaro ha detto...

"Una volta uno di questi ragazzi mi disse che, provando dei fortissimi sensi di colpa per non riuscire a fare le cose che avrebbe dovuto fare, non si sentiva nemmeno legittimato a fare le cose che gli sarebbe piaciuto fare. Forse in questa frase c'è qualcosa che spiega l'origine del problema: un'autostima bassissima e un eccesso di colpevolizzazione che annichiliscono, che inibiscono ogni naturale manifestazione di energia vitale o, più semplicemente, paura di vivere."
Mi pare un'analisi convincente. Conosco indirettamente il problema - un collega di un mio figlio vive così - ed è davvero drammatico.
Buon lavoro, di vero cuore...

Graziana ha detto...

Ho vissuto questo problema da un'altra prospettiva, quello del mio lavoro di insegnante. Non è semplice la cosa e non mi sento di colpevolizzare nessuno perché, come evidenzi nella tua analisi, la società impone altri valori come l'avere, la cura della propria immagine... Inoltre anche il lavoro stesso a volte è in alcune forme alienante.

Ebbene, troppe volte ho constatato come sia difficile dialogare col proprio figlio, o intrattenersi, giocarci, leggere una storia insieme e quanto sia più facile acquistare l'ultimo modello della play, un certo abbigliamento ... Fino a quando la situazione sfugge di mano e ci si imbatte in una situazione che non si riconosca o che non si sappia affrontare.

Nella migliore delle ipotesi si cerca una relazione di aiuto professionale.Nelle peggiori si arriva ad epiloghi estremi che abbiamo sotto i nostri occhi.

Grazie per la condivisione.

giorgio giorgi ha detto...

@maria: Grazie!

giorgio giorgi ha detto...

@graziana: i problemi di relazione tra genitori e insegnanti spesso dipendono dalla strenua difesa dei figli fatta dai genitori oltre ogni buonsenso. Alcuni genitori non riescono a sopportare l'idea di dover ammettere che ci sono stati dei problemi nell'educazione del figlio. Invece di preoccuparsi di far star meglio il figlio, si ostinano a preoccuparsi che nessuno metta in dubbio il loro ruolo di buoni genitori che hanno creato un buono e bravo figlio. Questa super-protezione del figlio non è amore, perchè tiene il figlio incatenato ai genitori e lo esime dal ogni assunzione di responsabilità (esattamente come fanno i genitori).

Graziana ha detto...

"i problemi di relazione tra genitori e insegnanti spesso dipendono dalla strenua difesa dei figli fatta dai genitori oltre ogni buonsenso": ne so qualcosa Giorgio. Mi è capitato però, poche volte in verità, che quei bambini problematici superprotetti da genitori ostinati, a distanza di anni mi ringraziassero con frasi di questo tipo: "tu sola ti sei preoccupata per migliorarmi perché a me non mi si è filato mai nessuno".

giorgio giorgi ha detto...

Bellissimo!

Annamaria ha detto...

Quando insegnavo, più volte mi è capitato di constatare l'incapacità di parecchi ragazzi di far fronte alle sconfitte, sia affettive che scolastiche. Erano totalmente sguarniti di risorse e di autostima di fronte a certi fallimenti, come se alle spalle non avessero avuto genitori capaci di ascoltarli e aiutarli proprio nelle loro fragilità.

giorgio giorgi ha detto...

Purtroppo è una situazione piuttosto comune perchè affrontare i fallimenti dei figli significa anche mettere in gioco il proprio ruolo di genitori e molte volte i genitori non hanno la forza e la capacità di andare alla radice dei problemi che ci sono nel rapporto genitori-figli.