domenica 1 novembre 2020

egoismo e sensi di colpa

 


Mi è capitato spesso di conoscere persone che consideravano la ricerca e la realizzazione della propria autenticità come qualcosa di egoistico.

Ciò li portava ad avere sensi di colpa tremendi quando sentivano il desiderio di seguire le proprie inclinazioni naturali.

In realtà cercare di rendersi conto di chi siamo veramente non significa assolutamente peccare di individualismo o di egoismo.

Una cosa è cercare di diventare consapevoli di chi siamo davvero, altra cosa è essere individualisti, cioè occuparsi solamente del proprio bene e trascurare quello degli altri.

Ci sono persone abilissime a farci sentire in colpa o sbagliati tutte le volte che esprimiamo desideri, opinioni, bisogni o progetti che riguardano la nostra vita e che non sono da loro apprezzati o condivisi. Dietro a questi comportamenti si nasconde spesso il loro desiderio di tenerci sotto controllo, di sapere che stiamo percorrendo strade a loro ben note invece di fare nuove esperienze, vivere situazioni che essi non conoscono e diventare perciò meno controllabili. 

Tenere troppo sotto controllo la vita delle altre persone, soprattutto dei figli diventati grandi, attraverso ricatti affettivi, è particolarmente odioso; quando ciò succede, i figli prima o poi arrivano a non sopportare più i genitori.   

Dobbiamo ricordare costantemente a noi stessi che non siamo venuti al mondo per vivere la vita come si aspettano gli altri e che la nostra vita ci appartiene e solo noi possiamo sapere in cosa consiste la nostra autenticità.

Se ascoltare ciò che gli altri hanno da dirci è spesso utile e fonte di arricchimento, alla fine le decisioni che riguardano la nostra vita spettano solamente a noi. 

E poi esiste anche il diritto di sbagliare, ovviamente assumendosi la responsabilità dei propri errori, senza per questo dover essere giudicati troppo negativamente. Anzi, normalmente, dai propri errori si imparano cose fondamentali per il nostro futuro che in nessun altro modo si sarebbero potute conoscere davvero. 

L'eccessiva paura di sbagliare ci trattiene dal misurarci con tutto ciò che è nuovo e ci tiene fermi nella palude del già detto, del già fatto e del già conosciuto, cosicché lentamente ci spegniamo, perché perdiamo contatto con la curiosità e col desiderio di conoscere e scoprire cose nuove. 


9 commenti:

Andrea Sacchini ha detto...

Accanto ai sensi di colpa di chi sente il desiderio di seguire le proprie naturali inclinazioni, credo ci sia, oggi, anche il senso di frustrazione di tantissimi che non riescono a perseguire la propria autorealizzazione, quella che gli antichi greci chiamavano eudaemonìa, la buona riuscita del proprio dèmone, ciò per cui si è portati.
E questo perché viviamo oggi, purtroppo, in una società che di fatto pone tantissimi ostacoli alla propria autorealizzazione, con conseguente diminuzione della felicità collettiva.
Ho letto una volta, da qualche parte, che oggi la depressione non è più organizzata sui sensi di colpa come una volta, quando si viveva nella società delle regole dove c'era giusto e sbagliato, oggi la depressione è maggiormente causata dal senso di inadeguatezza.
Uhm, mi sa però che sono andato un po' fuori tema rispetto al tuo post.
Pardon.

giorgio giorgi ha detto...

Non devi scusarti! Hai aggiunto delle riflessioni interessanti e che condivido!

Franco Battaglia ha detto...

Il senso di inadeguatezza cui accennava Andrea credo sia anche provocato dai limiti sempre più eccessivi imposti dalla società civile, sociale e lavorativa. L'asticella sempre più alta provoca impotenza, che si riflette sull'incapacità di realizzazione. E spesso doveri e imposizioni esterni, si riflettono sulle nostre abilità, sulle personali aspettative, sui nostri desiderata cui non riusciamo a stare appresso come vorremmo.
La felicità collettiva sembra prevaricare le felicità personali. Sembra relegarle. E probabilmente ci riesce..

giorgio giorgi ha detto...

@franco: "L'asticella sempre più alta" è una immagine che rappresenta bene il problema. Come si fa a sentirsi adeguati se appena hai raggiunto un risultato te ne chiedono uno più alto? La vita diventa una corsa continua alla prestazione e non c'è più il tempo per godere il presente che diventa immediatamente passato. Viviamo in un presente che diventa troppo velocemente nuovo e diverso. E' la dimensione temporale della tecnologia e della società dei consumi che spazza via il tempo della riflessione sul senso che per noi ha la vita. Così non siamo più in contatto con noi stessi, ci perdiamo di vista, non sappiamo più chi davvero siamo perchè non facciamo altro che cercare di funzionare adeguatamente alle richieste del sistema. Anche la psicologia purtroppo sta diventando sempre più uno strumento di puro adattamento alle richieste del sistema (riducendo le diversità a patologie) piuttosto che uno strumento per conoscersi meglio.

Annamaria ha detto...

E' liberante ciò che scrivi quando affermi che esiste anche il diritto di sbagliare, naturalmente assumendosi le proprie responsabilità, e che dagli errori si può imparare.
Il senso di colpa è distruttivo e per certi versi in passato siamo stati oggetto di un'educazione non tanto rigorosa - il che andrebbe anche bene - ma sostanzialmente rigida allo scopo di esercitare un controllo.
Però non mi pare che oggi le cose siano molto diverse: sono cambiati i valori che la società ci propone, ma come ricordavate qui sopra, "l'asticella sempre più alta" non incoraggia a vivere con altri ritmi e con uno sguardo più ampio su noi stessi e sul mondo.
Grazie!

dtdc ha detto...

Bella discussione, veramente arricchente.
Posso aggiungere che ci vuole anche ... fortuna (la parola era un'altra), non solo connessione con se stessi, superamento dei sensi di colpa, risposta alle aspettative degli altri? Io, per esempio, cerco quest'incrocio spazio temporale da quarant'anni, mi ci sono avvicinato un paio di volte e sono stato scaraventato via da forze irresistibili. Non è dipeso da me.
Un caro saluto Giorgio, anche agli altri lettori.

giorgio giorgi ha detto...

A Modena c'è un vecchio e saggio modo di dire dialettale: As fà qual ch'as pòl (Si fa quel che si può)😊

Er Matassa ha detto...

Ciao Giorgio, condivido ogni parola.
È proprio vero, a volte le persone che ci vogliono bene vorrebbero che tu facessi tutto quello ch'esse vogliono ("È per il tuo bene!") senza riuscire a discernere il nostro bene dal loro e senza capire che ognuno di noi ha il diritto di vivere la vita a modo suo e anche di sbagliare.
Una cara persona che conoscevo e che ora non c'è più diceva: "Non mi dar consigli: so sbagliare da solo". È una frase che mi piace moltissimo e che, a volte, ripeto dentro di me per infondermi coraggio quando sento di voler prendere una decisione che va contro il parere di chi mi vuol bene.
Il punto è proprio questo: credo che chi voglia bene a qualcuno debba, appunto, volere il bene di qualcuno per come da questi individuato. Che la scelta in ordine a cosa esso sia spetti solo al diretto interessato. Che le persone che gli sono accanto possano solo guidarlo, in un certo senso, nel trovare il giusto "metodo" della ricerca. E che il confine tra "metodo" e "merito", forse facilmente identificabile in teoria, lo sia molto meno nelle scelte quotidiane di ciascuno di noi.
Perdonami se sono stato forse un po' barocco e ingarbugliato nello scrivere (tale nick, tale post...)
Un caro saluto,

EM

giorgio giorgi ha detto...

Per me questo è un tema molto importante e mi sembra che lo sia anche per te...!!!