Mentre fa la punta a una matita a un medico viene in mente una straordinaria metafora della nostra vita, che in questo video racconta con umanissima semplicità e profondità.
Si può definire una breve ma importantissima seduta di psicoterapia che vale per ciascuno di noi.
Vi consiglio di ascoltarla!
20 commenti:
Quanto ha ragione!... Grazie, Giorgio!
Metafore già utilizzata in altre occasioni ma sempre di discreta efficacia..
Guarderò il video appena mi sarà possibile per l'intanto lasciami dire che è bello rileggerti.
Un abbraccio
Per niente d'accordo!. Metafora materialista fino al midollo, a mio avviso.
La vita, quella Vera, al suo termine apparente, dovrebbe riconsegnare al mondo un'immagine di bellezza primigenia, non un legnetto avvizzito di membra stanche e sfinite dall'impegno (Lo scrivere). Sta nei significati espressi dalle parole, il cuore pulsante della Vita di una matita, quando il corpo si
fa esecutore di elevati intenti. Ma quando le parole veicolano valori falsi e ingannatori ecco il corpo consumarsi e soffrire, scrostarsi, ridursi a un moncherino e finire nella discarica dell'esistenza, dimenticato e confuso fra i rifiuti che la vita mal spesa produce incessantemente. La matita perfetta, insomma è quella intonsa, lucida e poco usata, è quella che lascia libere le mani affinché possano dedicarsi alle opere e se ne sta buona buona a contemplare i risultati raggiunti invece che
spendersi senza tregua a magnificare l'inutile del proprio e dell'altrui vissuto. Eppure, la materia, culla dello spirito, in barba al bieco demiurgo cattivo, può a lui far torto e prostrarsi al servizio della Vita, e questa che col suo aiuto ha potuto dispiegarsi leggera e farsi Grande, ecco restituire a quel lembo esaurito di materia morta la dignità del sacro, dell'essersi fatto sacro per qualcosa.
Riprovo a riscrivere un mio commento forse finito in spam:)
Intanto ringraziavo per poter nuovamente rileggerla e poi per aver condiviso con noi questa metafora attinente alla vita di ognuno .
Come scrive anche il noto professore Alessandro D'Avenia,ogni giorno dovremmo perdere un pezzo di noi stessi per assaporare il dono della vita, esattamente come quella matita che si espone alla sua funzione venendo temperata e lasciando un segno del suo passaggio.Rimanere chiusi in un cassetto non avrebbe senso nonostante noi in qualche modo cerchiamo di tracciare un segno anche sotto nostra interpretazione .Stiamo scrivendo di metafore ,di una matita materiale certo ,ma il nostro corpo è esso stesso materiale ,evidentemente Fabio Painnet Blade la sacralità si esprime anche attraverso la materialità:)
Buona giornata
Grazie a tutti per i commenti. È stato bello ritrovarvi. Al signor Fabio vorrei dire che ho pensato alla matita narrata nel video in senso simbolico, come oggetto che allude a qualcosa di non materiale, ma spirituale: la nostra possibilità di esprimere la nostra personale essenza umana, quella che Jung chiama il Sè, fino alla fine dei nostri giorni. È la valenza simbolica che mette in relazione il materiale con lo spirituale: le parole rendono finito l'infinito, mentre i simboli portano lo spirito nel regno dell'infinito.
Grazie per la pronta replica , Dott. Giorgi.
La mia chiosa, forse con una sbavata di ingenuità, alludeva a un lecito dubbio: il linguaggio per simboli affinché possa introdurci nel regno dell'infinito o del sacro, deve attenersi a un qualche criterio?
Ovverossia: siamo sicuri che utilizzare un qualsiasi espediente narrativo come simbolo, nel nostro caso la metafora della matita (ma avrebbe potuto trattarsi di un calamaio, di un libro o di un qualsiasi altro oggetto) ci permetta sistematicamente di cogliere il senso dell'infinito riposto nell'elemento Vita a cui si riferisce la metafora?
Una eventuale risposta affermativa condurrebbe necessariamente alla diffidenza verso la competenza dell'iniziato, del sapiente o, se vuoi, dell'erudito che dei simboli si serve per comunicare un valore, un insegnamento.
Ciò per dire come l'utilizzo del linguaggio simbolico richieda sempre una formazione iniziatica, o sapienziale.
Io almeno così ho inteso e, confidando nella sua disponibilità, le sarei grato se mi fornisse una spiegazione in proposito.
ll ricorso alla metafora letteraria, infatti, a differenza del linguaggio simbolico, rrimane una formula appannaggio di tutti.
Ma uno scrittore può essere paragonato a un erudito?
Preciso meglio la questione.
Nel nostro caso, l'elemento fisico su cui ruota l'espediente metaforico, definito così, con le sua peculiari caratteristiche
(invecchiamento, disgregazione organica, perdita della funzionalità etc.), viene introdotto per rappresentare un
qualcosa di profondamente diverso, la Vita. La Vita intesa nel suo più completo e rotondo significato non dovrebbe difatti
limitarsi alle sole qualità materiali; se la vogliamo intendere nel suo senso più completo dobbiamo implicitamente condividere
la vastità e sacralità della sua più intima essenza. E solo ciò ci porta a considerare la prospettiva irrazionale dell'infinito,
dell'eterno, proprio come lei concludeva nel suo commento Dottor Giorgi.
Il valore del simbolo, a differenza della mera metafora, è dato dalla risonanza emotiva che esso ha nella psiche di chi entra in contatto con esso. La parola simbolo designava in greco il pezzo spezzato di oggetto che rimaneva a chi non partiva per mare: guardandolo, si attivava il ricordo della persona cara che che era lontana in viaggio, l'oggetto attivava un sentimento interiore. Il simbolo quindi non è mai indipendente dall'interiorità di chi vi entra in contatto. Per questo anche una matita può avere valore simbolico. Non basta la matita per creare un valore simbolico, occorre anche la capacità di chi incontra la sua immagine di sentirne il valore simbolico, e questo dipende dalla sensibilità di ciascuno. D'altra parte le religioni sono piene di oggetti materiali che hanno valore simbolico, che non viene percepito da tutti indistintamente.
Grazie a lei dottore e ci aggiungo di trovare abbastanza interessante il prosieguo dei vostri commenti.
A me pare che il materiale e lo psichico siano connessi sotto entrambi gli aspetti ,si a due facce ma complementari di una unica realtà .Bisognerebbe solo soffermarsi e magari porre la dovuta attenzione sulla natura e il valore di quel simbolo.
"Simbolo" quando fa da ponte tra il sé e la propria coscienza e ci trascende e quando diversamente
e in maniera opposta ci allontana dallo spirituale,tipo la nostra quotidianità consumistica ,sommersi da simboli pubblicitari in ogni dove ,come a farci sentire sempre inappagati e bisognosi di colmare un vuoto con l'acquisto di oggetti di valore monetario.
Buona serata
No, no. Questo è chiaro. 'La matita può essere utilizzata come simbolo', ma è sul fatto che possa efficacemente rappresentare il senso dell'esistenza, della Vita stessa; ecco, su questo continuo a nutrire riserve. Anche perché, ad esempio, quando il simbolo innesca la 'risonanza emotiva' essendo questa del tutto personale, ad uno evoca una cosa mentre ad un altro può evocare qualcosa di diverso. Ciò è naturale, infatti, a me la matita consumata evoca la gioia dell'infanzia, ad un altro può ricordare un triste periodo di indigenza, e così via.
Il problema sorge quando coloro che leggono dovrebbero, attraverso il linguaggio simbolico, far convergere il significato ad una medesima conclusione, quando cioè, il simbolo adottato si erge a rappresentazione di un principio/valore valido entro il periplo di una collettività/comunità e perfino di una civiltà, e quindi, quando l'elemento simbolico richiama un archetipo costituitosi in migliaia d'anni di storia precedente.
Allora dovrebbe essere scelto con saggezza. Penso al linguaggio mitico degli antichi, rivelando un po' l'origine di questo mio dilemma. A a questo punto ritengo si sia capito bene a chi alludevo.
Credo che Anonimo abbia colto il mio dubbio, difatti il simbolo adottato nella pubblicità prima di generare senso d'inappagamento, evoca nei più un bisogno da soddisfare che essi soddisfano nell'immediato , previo l'acquisto del prodotto che i più si affrettano a effettuare meccanicamente , salvo poi accorgersi che in fondo, il prodotto, non era poi così indispensabile. Ma in pochi si rendono conto di aver seguito un meccanismo indotto, quindi di aver effettuato una scelta indirizzata e non una scelta libera. In questo caso il simbolo ha smosso un sentimento collettivo, è stato da tutti colto nello stesso modo. Dunque il simbolo efficace non sta nel prodotto in sé, ma in quel simbolo pubblicitario che ha evocato un archetipo, come il mulino bianco evoca con un sapiente uso di immagini, colori e atmosfere il comune sentimento di serenità familiare, che è un qualcosa di molto antico presente nella nostra coscienza.
Ok. Credo di avere capito dove sta il fraintendimento. Dal mio punto di vista la consapevolezza di sè cui ciascuno può arrivare è il frutto di un percorso personale che nasce sempre dall'inconscio collettivo, che è la nostra origine, il mare magnum delle immagini e dei simboli dell'umanità. Per sapere chi siamo davvero, dobbiamo prendere coscienza della nostra autenticità. È come se l'inconscio collettivo fosse uno spartito musicale che ciascuno di noi suona ma in modo diverso, in base alle sue proprie personali peculiarità. Quindi tra inconscio personale e inconscio collettivo ci deve sempre essere un rapporto creativo. Io sono preoccupato che ciascuno mantenga un atteggiamento individuale verso il collettivo più di quanto mi preoccupi l'aderenza di tutti a un collettivo già dato e necessariamente uguale per tutti. Forse da questa mia (personale!) impostazione nasce la differenza tra il mio pensiero e il suo, che ovviamente accolgo e rispetto.
Grazie Dottor Giorgi, non immagina quanto mi stia aiutando a comprendere il contenuto di alcune mie recenti letture e scoperte, oserei dire, visto che non sono tanto vicino alle sue competenze (Purtroppo) nonostante la considerazione immeritata che mostra per i miei commenti. Ed in realtà i nostri pensieri sono così diversi per il fatto che lei ne ha uno ben preciso, mentre io no! Non ne ho proprio uno ben definito, me lo sto costruendo però, anche grazie a queste conversazioni e col suo aiuto.
Comprendo bene perciò quanto ha appena scritto, benché vi sia nel suo gentile intervento, un ennesimo nodo da sciogliere . Si tratta della frase in cui scrive: "tra inconscio personale e inconscio collettivo ci deve sempre essere un rapporto creativo". Ebbene, in virtù di quanto ne so (forse non tanto) avrei piuttosto compreso meglio se avesse affermato la ricerca di un equilibrio fra coscienza (personale) e inconscio collettivo. In poche parole, cos'è questo 'inconscio personale' ? Il concetto a cui allude mi suona del tutto nuovo, mi ha spiazzato.
MI ritrovo invece nella conclusione del suo commento, in cui si dichiara preoccupato per l' 'atteggiamento individuale verso l'inconscio collettivo'. Questo 'atteggiamento' di cui dice, infatti, pensavo facesse parte della coscienza individuale, cioè, tutto ciò che sentiamo di conoscere, e di cui abbiamo coscienza. Grazie ancora per la pazienza e l'accoglienza mostrata in questa occasione
Quando nasciamo non siamo coscienti di nulla, nemmeno del nostro corpo. Poi, piano piano, il rapporto coi genitori ci aiuta a diventare consapevoli che esistiamo e come siamo. Ma quello che ci dicono di noi i genitori può non corrispondere a ciò che siamo veramente. Un mio paziente, che non è matto, a 50 anni ha ancora paura che la gente veda che è matto perché i suoi, fin da piccolo lo consideravano matto. Quindi ciò che sappiamo di noi da grandi può non coincidere con ciò che davvero noi siamo. Ci possono essere delle parti autentiche di noi di cui non siamo consapevoli: questo è l'inconscio personale. Capisce la differenza con l'inconscio collettivo? Quante più parti dell'inconscio personale riusciamo a integrare nella nostra coscienza, tanto più abbiamo coscienza di chi siamo veramente.
@anonimo: sono assolutamente d'accordo con lei. Aggiungo che, a mio avviso, la nostra è una società che tende a ridurre tutto a materia e che soffre per la mancanza di accedere a una dimensione simbolica dell'esistenza.
Sono favorevolmente sorpreso da questo terzo elemento che ignoravo, dacché fino ad oggi avevo creduto che il nostro modo di agire ci rendesse consapevoli della nostra più autentica identità, che poi ci sforziamo di far collimare con un giudizio che proviene dall'esterno ma che tendiamo a rifiutare quando non solidarizza con quanto crediamo di essere. Su chi siamo veramente, beh . . . non le nascondo che è una questione aperta. Uno spunto molto interessante, il suo, che merita approfondimenti. Anche perché - giungendo alle porte della psicanalisi dall'analisi dallo studio del mito arcaico (ovvero della tradizione antica) mi fermavo ai due elementi psichici di base, ben analizzati peraltro anche in chiave filosofica.
La ringrazio per aver dialogato con me. È stato un piacere. Qualora volesse approfondire il tema del rapporto tra coscienza, inconscio individuale e inconscio collettivo, le consiglio vivamente un vecchio libro di Jolande Jacobi dal titolo La psicologia di Jung ed.Boringhieri, ora in offerta presso Il Libraccio, oltre al libro di Jung "L'io e l'inconscio". I miti e le religioni antiche sono state al centro degli studi e interessi di Jung.
<<(em) I miti e le religioni antiche sono state al centro degli studi e interessi di Jung.(/em)>>
Sì, appunto. Se Anche lei volesse dialogare nell'ambiente del mito (Specialmte intorno ai testi biblici), mi trova h24 qui : https://arteeordineanarchico.blogspot.com/2023/09/e-i-capi-fecero-lofferta-di-dedicazione.html
Nel frattempo seguirò sicuramente i suoi consigli con l'auspicio di ritrovarmi a disturbarla ancora, col suo gentile permesso e sempre che il blog si presti a queste incursioni.
grazie ancora per la disponibilità e buona Domenica
Verrò sicuramente a leggerla. Buona domenica anche a lei!
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