giovedì 15 agosto 2024

cosa fa esattamente uno psicanalista?

 


Una cara amica mi ha fatto conoscere un libro bellissimo e poetico, che ho divorato in poco tempo nei miei giorni di ferie. 

Si intitola La casa del mago, l'ha scritto Emanuele Trevi, editore Ponte alle Grazie.

L'autore, figlio di Mario Trevi, storico psicanalista junghiano morto da qualche anno, racconta di sé, di ciò che gli è rimasto dentro del rapporto col padre e del suo lavoro di psicanalista. Ho trovato il libro decisamente avvincente, per l'umanità e la sincerità che colma ogni pagina, senza alcun timore di parlare dei pregi, dei difetti e dei misteri propri e del padre. Incredibile come sia riuscito, non essendo del mestiere, a scrivere delle pagine così profonde e illuminanti su cosa avviene nelle persone che frequentano la stanza d'analisi, siano essi terapeuti oppure pazienti. Ecco un esempio (il Bernhard citato sotto è stato il terapeuta che nel dopoguerra fece conoscere l'opera di Jung in Italia e fu "guaritore" del padre dello scrittore, oltre che di Fellini, Manganelli e molti altri personaggi famosi):

"Cosa fa esattamente un guaritore? Se c'è un potere che gli è indispensabile, è quello, tipicamente apollineo, di sciogliere - come diciamo che si scioglie un cane perché sia libero di correre in un parco. Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo bisogno di essere sciolti: non solo dal falso destino che gli altri hanno scelto per noi (che sarebbe il meno) ma da quello (altrettanto falso) che noi stessi ci costruiamo intorno mentre viviamo. Credo che persone come Bernhard o mio padre riuscissero ad agire, delicatamente ma energicamente proprio sull'idea di sé, con tutto il suo contorno di desideri illusori, che falsifica il destino degli esseri umani rendendoli infelici, bisognosi, pieni di insistenti e micidiali rancori. Giorno dopo giorno, noi scaviamo nel terreno che abbiamo sotto i piedi - del resto ci sembra normale: tutti gli altri non fanno così? -, fino al giorno in cui ci rendiamo conto che le pareti della nostra buca sono troppo alte e ripide per poterle risalire. Come siamo finiti laggiù? Quando abbiamo cominciato a sbagliare? Stabilirlo serve a poco; il fatto è che sei lì, sul fondo umido della buca, a fissare come un idiota uno spicchio di cielo sempre più lontano o irraggiungibile. Sono stati mamma e papà a metterti in mano la vanga? E' verosimile, ma c'è anche un sacco di gente che se la procura in altri modi. Il problema vero è che non sei libero, non ti ricordi nemmeno cosa significa. Perché quella buca dannata non è qualcosa di esterno, ma la tua stessa identità. Quello che ha da offrirti uno come Bernhard è poco più di un pezzo di corda, una striscia di lenzuolo con qualche nodo; se pretendi un ascensore, non c'è tempo, e non c'è spazio." (p.199)

 

 

sabato 22 giugno 2024

una corsa a ostacoli senza traguardo

 


Vi trascrivo in sintesi quello che mi hanno raccontato recentemente due giovani che non si conoscono, un ragazzo e una ragazza entrambi di circa 25 anni: 

1) "Quando mi accadono delle cose negative sto male, mentre quando riesco a raggiungere qualche obiettivo importante per me, penso di avere fatto una cosa normale, di aver fatto il mio dovere, quindi non è qualcosa di cui devo compiacermi o per cui dovrei gioire, a meno chè non sia una cosa eccezionale, assolutamente imprevedibile o eclatante".

2) "Quando sto male soffro. Quando le cose vanno bene e riesco a raggiungere un obiettivo anche importante che mi ero prefissato non provo gioia nè soddisfazione, mi sembra tutto normale, forse perchè sto già pensando a come realizzare l'obiettivo successivo che voglio raggiungere. E così fanno anche i miei amici e amiche. Quando ci incontriamo nessuno parla mai delle sue soddisfazioni, ma prevalentemente parliamo delle cose che ci vanno male, forse per trovare conforto".

Credo sia un atteggiamento piuttosto diffuso. Queste testimonianze mi hanno fatto riflettere e ho provato un senso di disagio.

Come si può stare bene se non si gioisce delle cose belle che riusciamo a realizzare? Se si rincorre sempre l'obiettivo successivo?

La vita rischia di diventare una corsa ad ostacoli nella quale il traguardo non si raggiunge mai.

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sabato 13 gennaio 2024

In memoria di Franco


Franco era un mio amico, morto alcuni giorni fa per colpa di un tumore maligno che non gli ha lasciato scampo. Parlo di lui per ricordare la sua gioia di vivere, il suo atteggiamento vitale, la sua ricerca quotidiana di dare senso alla sua vita e a quella degli altri, il suo piacere di costruire relazioni basate sul rispetto dell'altro, sulla ricerca della condivisione autentica delle verità comuni, rispettando le diversità di pensieri e sentimenti.

Con lui ho trascorso tanti momenti pieni di risate, con quella genuina immediatezza e spontaneità che hanno sempre caratterizzato la nostra naturale amicizia e il nostro piacere di stare insieme. Abbiamo condiviso discorsi utopistici sui massimi sistemi e discorsi seri sugli aspetti più importanti della condizione umana, condendoli sempre di quel pizzico di ironia e autoironia che rendeva leggeri anche i temi più ostici,

Credo che se fosse qui e leggesse quello che sto scrivendo direbbe qualcosa tipo:"Ma non metterla giù troppo tragica e pallosa, sono morto, è andata così perchè così è la vita, fattene una ragione".

E' anche per questo che scrivo, per ricordare l'idea che abbiamo condiviso, che sia cosa giusta dedicare tutte le proprie energie a vivere la vita nella sua interezza senza troppe ansie, a rendere pieno di senso il tempo che ci è dato di vivere, con consapevolezza e accettazione dei limiti che il nostro essere umani necessariamente comporta, in modo naturale, secondo misura.