Ieri una persona mi ha fatto la domanda che dà il titolo al post e che mi offre l'opportunità di condividere con voi alcuni pensieri.
Con il termine narcisismo si può alludere ad una vera e propria psicopatologia, a volte molto grave, oppure a una generica tendenza a mettersi troppo al centro delle proprie attenzioni, trascurando le ragioni e i sentimenti degli altri.
Fare una psicoterapia dovrebbe portare ad una maggiore conoscenza di sè stessi, quindi anche ad una consapevolezza più chiara dei propri limiti e dei propri difetti (per superarli), e questo processo va nella direzione opposta a quella che il narcisista predilige, cioè l'incensamento di sè stesso.
Però è vero che nell'ambito psicoterapeutico un rischio narcisistico c'è: il rischio è quello di pensare che, proprio perchè si fa una psicoterapia, si è in qualche modo superiori a quelli che non la fanno, perchè si sono imparate (o si crede di avere imparato) tante cose di sè e di come funziona la psiche in generale.
Molti anni fa, quando ho cominciato a fare questo lavoro, questo rischio era molto accentuato, perchè erano pochi quelli che andavano da un analista e circolava con facilità un certo complesso di superiorità.
Woody Allen ha contribuito a dissacrare gli psicoanalisti, gli psicoterapeuti e anche i pazienti; la diffusione di massa delle psicoterapie ha fatto il resto, facendo crescere il numero dei pazienti, per cui oggi andare da uno psicoterapeuta è molto meno elitario rispetto al passato e per fortuna è anche molto calato il numero delle persone che pensano che chi va da uno psicologo è matto.
Però, sia gli psicoterapeuti che i pazienti devono stare comunque molto attenti.
Il mito del guaritore ferito è un importante punto di riferimento e un'ancora di salvezza contro ogni tipo di inflazione narcisistica: il guaritore migliore è quello che è stato a sua volta ferito, è passato attraverso il dolore di vivere e conosce sulla propria pelle (e non perchè l'ha letto sui libri) cosa vuol dire soffrire, guardare in faccia il proprio dolore e poi riuscire a superarlo, avendo modificato qualcosa del suo vecchio modo di vivere.
Io diffido istintivamente di tutti coloro che, come gli imbonitori, sorridono sempre e ti fanno pensare che cambiare è facile e che loro ti possono insegnare la ricetta per vivere bene senza fatica, così come diffido di quelli troppo cupi, che sembra che vivano costantemente immersi nel dolore di vivere.

I miei migliori maestri sono stati delle persone normali, che avevano vissuto in prima persona le gioie e i dolori della vita. Entrando in contatto con loro, avevo la sensazione che fossero persone semplici, che andavano immediatamente all'essenza delle cose e che non tenevano troppo in considerazione l'aspetto esteriore: una volta, addirittura, scambiai il nipote di Jung, che è un anziano psicoterapeuta svizzero-tedesco, per il fattore di una villa di campagna dove egli doveva tenere una conferenza. Mi venne incontro con una camicia a scacchi rossi e un'aria talmente bonaria e semplice, che solo quando mi chiese in un italiano stentato "scusi, tofe è la toilette?", capii che era lui quello che doveva raccontarci della sua infanzia vissuta vicino all'illustre nonno.
Qualche anno dopo, dovendo incontrare per la prima volta come paziente una famosa analista di Milano, alla persona semplice e normale che mi venne ad aprire la porta e che io scambiai per la donna di servizio, stavo per chiedere di annunciarmi alla padrona di casa, quando lei per fortuna mi anticipò presentandosi e risparmiandomi una pessima figura, perchè capii che l'analista che stavo cercando era proprio lei.
Ecco, facendo della psicoterapia con persone come queste, non si rischia certo di diventare narcisisti.