martedì 25 giugno 2013

cibo


Esiste un cibo per il corpo e un cibo per l’anima.

Ci sono cibi che nutrono e altri che non nutrono.

Si può essere sazi di cibo per il corpo e affamati d’amore.

I bulimici buttano dentro di sé ogni sorta di schifezza,
come se fossero dei pozzi vuoti o delle fogne.

Gli anoressici rinunciano al cibo materiale per un ideale di perfezione.


venerdì 21 giugno 2013

l'educazione secondo Marcello Bernardi

Quella irriducibile speranza che si chiama libertà, quel misterioso indefinibile appello che risuona costantemente nel profondo di ogni essere umano, credo nasca soprattutto dall'educazione. Parola, anche questa, fra le più imbarazzanti. Se ne possono dare mille definizioni, di libertà e di educazione, ma è difficile, forse impossibile, esprimerne l'essenza. Penso comunque che l'uomo educato - e solo lui - sia veramente libero.
Libero dalle prevaricazioni di un qualsiasi sistema, libero dal ricatto, dalla paura e dal bisogno. E se potessi tentare di tradurre questa mia convinzione in parole, direi che un essere umano è educato quando ha imparato a superare il suo egocentrismo, a entrare nell'universo e a far entrare l'universo in sé stesso, a non misurare gli altri uomini e le cose sulla propria misura e a non misurare la propria persona sui codici del mondo. In breve, per usare una parola scomoda, quando sa amare.

Tratto da Marcello Bernardi e il judo di Cesare Barioli, Vallardi ed.

venerdì 14 giugno 2013

forza e fragilità

Ciascuno di noi ha le proprie fragilità.
Non esiste una persona che non abbia qualche punto debole, anche coloro che sembrano perfetti.
Anzi, più si ha paura delle proprie fragilità e più si cerca di apparire solidi come l'acciaio.
Non è un caso che uomini di potere perdano la testa e compiano gesti estremi se la loro fortuna vacilla.
Al contrario, le persone realmente forti sono quelle che riescono ad accettare le proprie fragilità senza farne un dramma.

D'altra parte, le vere amicizie si basano sulla confidenza, che nasce dalla condivisione delle difficoltà che si sperimentano nella vita.
Se tutti riuscissero ad accettare le proprie e le altrui fragilità senza giudicarle in modo eccessivamente negativo e senza averne troppa paura, le relazioni tra gli uomini sarebbero molto più autentiche e appaganti.

Identificarsi con l'immagine della persona superiore agli altri e senza debolezze è ciò che impedisce l'intimità delle relazioni.
A molti figli viene attribuito dalla famiglia questo ruolo di persona sempre forte, che impedisce loro di poter vivere anche le proprie debolezze; costoro devono quindi sopportare, senza lamentarsi, altri membri della famiglia cui viene attribuita l'etichetta di più debole, più incapace, ecc.
Ciò purtroppo a volte conferisce a quello che viene definito più debole l'alibi per crogiolarsi nella propria debolezza, mentre l'altro è costretto a impersonare sempre il ruolo del più forte, non potendo mai manifestare le proprie fragilità. 


sabato 8 giugno 2013

andare incontro al paziente

Molti anni fa, quando ero ancora all’inizio della professione, mi telefonò una persona che mi raccontò di essere da poco tempo in cura da uno psicoterapeuta, col quale però le cose non andavano bene.
Mi spiegò che aveva degli attacchi di panico molto forti che gli impedivano fisicamente di andare nello studio del terapeuta e, nonostante le sue richieste, il medico non era disponibile per andare a fare le sedute di psicoterapia presso il suo domicilio.
Mi chiese quindi se io avrei potuto andare a fare le sedute nella sua abitazione. Risposi affermativamente e iniziai ad andare da lui ogni sabato mattina.
Un po' di tempo dopo mi disse che si sentiva pronto per provare a venire con la sua automobile nel mio studio, che distava circa 20 chilometri da casa sua. Io acconsentii e il sabato successivo lo aspettai nel mio studio, sperando di vederlo arrivare.
Poco prima dell’orario concordato, ricevetti invece una sua telefonata nella quale mi disse che era riuscito ad arrivare in automobile fino a un paesino che era circa a metà strada tra casa sua e il mio studio. Mancavano ancora 10 km, ma lui non riusciva né a proseguire verso il mio studio, né a tornare a casa: era bloccato esattamente a metà strada.
Gli dissi di non preoccuparsi, che sarei andato io da lui, e così feci. Lui intanto si era seduto al tavolino di un bar all’aperto. Lì lo raggiunsi, mi sedetti vicino a lui e facemmo la nostra seduta sotto l'ombra di un albero. Dopo un’ora mi disse che se la sentiva di tornare a casa, e così fece.
Il sabato successivo ci riprovò e questa volta arrivò fino al mio studio: ricordo ancora l’atmosfera di festa e di gioia che vivemmo insieme quel giorno!

Questo episodio è rimasto profondamente impresso nella mia memoria, perché questo trovarsi a metà strada, questo fare ciascuno dei due il proprio pezzo di strada per andare incontro all'altro è rimasto per me simbolo ed essenza del lavoro psicoterapeutico.