Molti anni fa, quando ero ancora
all’inizio della professione, mi telefonò una persona che mi raccontò di essere
da poco tempo in cura da uno psicoterapeuta, col quale però le cose non
andavano bene.
Mi spiegò che aveva degli
attacchi di panico molto forti che gli impedivano fisicamente di andare nello
studio del terapeuta e, nonostante le sue richieste, il medico non era
disponibile per andare a fare le sedute di psicoterapia presso il suo
domicilio.
Mi chiese quindi se io avrei
potuto andare a fare le sedute nella sua abitazione. Risposi affermativamente e iniziai ad andare da lui ogni sabato mattina.
Un po' di tempo dopo mi disse che si sentiva pronto per provare a
venire con la sua automobile nel mio studio, che distava circa 20 chilometri da casa sua. Io acconsentii e il sabato
successivo lo aspettai nel mio studio, sperando di vederlo arrivare.
Poco prima dell’orario
concordato, ricevetti invece una sua telefonata nella quale mi disse che era
riuscito ad arrivare in automobile fino a un paesino che era circa a metà
strada tra casa sua e il mio studio. Mancavano ancora 10 km, ma lui non riusciva né
a proseguire verso il mio studio, né a tornare a casa: era bloccato esattamente
a metà strada.
Gli dissi di non preoccuparsi, che sarei andato io da lui, e così feci. Lui intanto si era seduto al tavolino
di un bar all’aperto. Lì lo raggiunsi, mi
sedetti vicino a lui e facemmo la nostra seduta sotto l'ombra di un albero. Dopo un’ora mi
disse che se la sentiva di tornare a casa, e così fece.
Il sabato successivo ci riprovò
e questa volta arrivò fino al mio studio: ricordo ancora l’atmosfera di festa e
di gioia che vivemmo insieme quel giorno!
Questo episodio è rimasto
profondamente impresso nella mia memoria, perché questo trovarsi a metà strada,
questo fare ciascuno dei due il proprio pezzo di strada per andare incontro
all'altro è rimasto per me simbolo ed essenza del lavoro psicoterapeutico.