venerdì 28 settembre 2012

i bambini sentono tutto

A volte noi genitori ci troviamo in situazioni imbarazzanti perchè non sappiamo come dobbiamo parlare ai nostri figli di qualcosa di spiacevole che riguarda i nostri affetti o le nostre relazioni.

Credo che sia necessario non dimenticarsi mai che i bambini hanno una capacità grandissima di percepire i sentimenti veri che noi proviamo. I bambini conoscono i nostri stati d'animo veri spesso meglio di noi stessi, perchè loro non hanno ancora tutte quelle sovrastrutture e difese razionali che noi adulti ci siamo costruiti nel tempo.

Essi appartengono più di noi adulti al mondo della natura, sono dei piccoli animaletti, da questo punto di vista, e, come gli animali, hanno delle antenne potentissime che li mette in grado di percepire le emozioni e i sentimenti di chi hanno intorno.

Se noi siamo tristi e angosciati, i bambini lo sentono, a meno chè non siamo così bravi da interrompere il flusso interno di questi sentimenti quando siamo con loro. Se però ne rimane qualche traccia percebile, loro la sentono.

E non serve a nulla dire: "sto benissimo" quando coi gesti, col tono della voce, con gli sguardi, col tono dell'umore, stiamo gridando loro il nostro malessere.

Un bambino sa perfettamente quando un genitore è felice o quando è preoccupato; in questo secondo caso non è raro che il bambino venga da noi e ci chieda cosa abbiamo. Se noi rispondiamo "niente, niente" e facciamo finta di stare bene, il bambino percepisce che lo stiamo imbrogliando, ma, e questa è la cosa terribile, non potrà mai avere con noi un confronto sincero su questo imbroglio, perderà la fiducia in noi e, con dolore, si terrà tutto dentro. Riceverà due messaggi contemporanei e contrastanti (a parole "sto bene", nei fatti "sto male") e quindi non ci capirà più nulla, si sentirà confuso e ciò lo farà sentire solo, triste e abbandonato.

lunedì 24 settembre 2012

figli di genitori separati

Uscire da una separazione coniugale in avanti, cioè accedere ad un livello di vita migliore del precedente, è difficile per chi si separa e ancor più per i figli, che si trovano a dover fare i conti con una situazione inaspettata, che modifica pesantemente gli equilibri affettivi e organizzativi della loro famiglia.
D'altra parte esistono situazioni nelle quali la separazione è un male necessario, perchè i coniugi non riescono più a trovare un senso al proprio stare insieme e la vita quodiana rischia di diventare un inferno. In questi casi è fondamentale salvaguardare i figli, cercare di non far pesare loro addosso le piccole o grandi negatività che ogni separazione comporta. Quando i due genitori riescono a fare ciò, i figli possono continuare a crescere senza troppi traumi, anzi, a volte, meglio di prima.
A questo proposito non dimenticherò mai un aneddoto che mi raccontò un'amica che si separò circa quarant'anni fa, quando suo figlio aveva due anni e che dopo tre anni iniziò a convivere con un altro uomo, che andò ad abitare da lei e fece in pratica da secondo padre a suo figlio.
Il bambino frequentava la prima elementare, la maestra non sapeva nulla della separazione e al primo colloquio con la mamma, dopo alcuni mesi di scuola, con molto tatto e circospezione raccontò alla mamma che il figlio, molto tranquillamente, andava dicendo in giro ai compagni di classe che lui aveva due papà.
La mamma spiegò qual'era la sua situazione famigliare, le disse della separazione e del nuovo compagno che viveva in casa sua e chiese alla maestra se le sembrava che suo figlio avesse dei problemi a causa di ciò.
La maestra rispose che, a suo parere, il figlio della signora non aveva alcun problema, ma che i problemi li avevano gli altri bambini.
La mamma non capì e chiese spiegazioni alla maestra, la quale rispose che molti altri bambini andavano a casa dai rispettivi genitori, piangendo e lamentandosi del fatto che loro avevano un padre solo mentre l'altro bambino ne aveva due, chiedevano il perchè di quell'ingiustizia e se potessero avere due papà anche loro!
In questo caso, l'affetto sincero che era rimasto tra i coniugi separati, unitamente a quello che il nuovo compagno della madre aveva regalato a lei e al bambino, avevano fatto sì che il bambino non solo non si sentisse svantaggiato rispetto ai suoi compagni, ma addirittura fosse da loro percepito come più fortunato!
Per la cronaca, quel bambino ha compiuto da poco quarant'anni, si è fatto una sua famiglia e pare che sia diventato un ottimo marito e uno splendido padre di due bambini.  

giovedì 20 settembre 2012

i venti dell'anima

Foto di Andreas Kemenater - India
A volte capita di sentirsi in balìa di qualcuno o di qualcosa, altre volte ci sentiamo feriti dalla vita in generale che percepiamo ostile nei nostri confronti, ma molte volte siamo solo prigionieri di noi stessi.

A volte scambiamo la parte per il tutto, ci sentiamo in una situazione disperata e senza via d'uscita solo perchè abbiamo lo sguardo troppo basso, interamente concentrato sulla situazione negativa che ci fa soffrire.
In quei momenti dimentichiamo tutto il buono che abbiamo dentro e che esiste intorno a noi, ci scordiamo di tutte le cose belle che abbiamo vissuto e che potranno tornare in futuro, magari in forme diverse e con modalità diverse.
E' come se fossimo sotto un tremendo temporale e pensassimo che si estenda ovunque, che ricopra i cieli di tutta la Terra.
Non è così, non è mai così.

Le tempeste hanno anche loro dei limiti, di spazio e di tempo e ai loro margini ci sono ampie zone di sereno.
Tutto è regolato dai venti che spostano incessantemente le nuvole: le fanno arrivare, le addensano, e poi le portano lontano.
I venti sono fondamentali, nella natura come nella nostra psiche. I venti sono necessari, anche per spazzare via lo smog, i rifiuti nocivi che la vita produce.
I venti possono essere violenti e portare tempesta, oppure talmente piacevoli da accarezzarci dolcemente.

Se mancano i venti c'è bonaccia, c'è ristagno, c'è afa, spesso insopportabile.
In greco vento si dice Anemos. Da questa parola deriva la parola Anima, il principio vitale individuale che ci anima, che ci fornisce vitalità.

Quando siamo in pericolo perchè i venti soffiano troppo forte intorno a noi, cerchiamo un luogo riparato, un luogo sicuro, stiamo fermi e raccolti su noi stessi anche per un tempo lungo.
Adoperiamo le nostre energie solo per proteggerci e per prenderci cura di noi, con l'intento di subire i minori danni possibili.
Cerchiamo di essere amici e non nemici di noi stessi, anche se ci sembra di avere sbagliato qualcosa o tutto.

Opponiamoci con tutte le nostre forze all'idea che non faremo mai nulla di buono, perchè se rimaniamo in contatto con la nostra anima, col nostro naturale. genuino e autentico modo di sentire e vedere le cose, da noi si scatenerà un'energia vitale molto potente.

Se i venti terribili hanno fatto dei danni, quasi sempre ci si può organizzare per ricostruire.
Magari ci sarà da impegnarsi e da lavorare sodo, magari si tratterà di compiere un viaggio in sè stessi lungo e difficile, magari si dovrà chiedere l'aiuto di una guida, ma vale la pena di provarci perchè, come diceva Dante, si tratta di uscire dall'inferno e rivedere le stelle.

martedì 18 settembre 2012

un bel messaggio

Messaggio del Vice Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna, Stefano Versari, in occasione dell’inizio delle lezioni dell’anno scolastico 2012/13

Bologna, 12 settembre 2012
Agli studenti, alle famiglie ed al personale della scuola
e dell’amministrazione scolastica dell’Emilia-Romagna
Nel saluto di apertura dello scorso anno scolastico mi sono soffermato sul nostro “esserci” come educatori. Essere presenti con il cuore e con la mente. Attenti verso ciascun ragazzo, soprattutto nei momenti difficili che ciascuno di loro vive.
Mai avrei immaginato di aprire questo anno 2012-2013 con quasi duecento plessi scolastici danneggiati dal terremoto. Molte migliaia di alunni, centinaia di docenti e decine di dirigenti scolastici che opereranno in condizioni almeno inizialmente complesse. Tanti paesi distrutti, il patrimonio storico artistico gravemente lesionato se non abbattuto, il tessuto produttivo danneggiato nelle sue parti più vitali e prospere.
I danni immensi causati da questo terremoto – per le strutture scolastiche e produttive assai più grave di quello dell’Aquila anche se, fortunatamente, con un numero minore di vittime – arrivano per di più in un momento di forte contrazione di risorse e di rimodellamento dell’intera “macchina” dell’amministrazione statale e degli enti locali.
Il terremoto, evento ancora più sconvolgente in questo tempo di crisi, transizione, trasformazione. Un tempo che avrebbe comunque richiesto, anche senza il terremoto, il grande impegno di tutti per identificare e sostenere l’essenziale in ciascuna cosa. Imparando a rinunciare al non essenziale, anche se esso fa parte dell’immagine “agiata” che avevamo di noi stessi.
Un tempo quindi per molti aspetti duro, spigoloso, arduo. In cui le capacità di far fronte in modo concreto a problemi concreti devono prendere il sopravvento su costruzioni puramente mediatiche e illusorie di un mondo che non esiste (e non esisteva neppure prima).
Siamo chiamati a vivere questo nostro tempo, il tempo che ci è dato, non come maledizione ma con lo sguardo degli educatori. Cioè come coloro che sono chiamati alla speranza, a radicare i giovani nella realtà data, quale che sia, per costruire il loro futuro.
Se il nostro compito è “esserci”, essere presenti accanto ai nostri ragazzi, questo tempo difficile soprattutto per la nostra terra ci impone come dobbiamo esserci. Per essere aiutati a capire “come esserci” possiamo volgere lo sguardo a testimoni, come il poeta Davide Maria Turoldo che ha incentrato la sua opera nel coniugare tempi difficili e speranza, nell’osare la speranza proprio quando “la memoria è seminata di rovine delle cose amate”.
Questa è una terra forte anche quando trema ed è forte la sua gente. Nella complessità di questo presente ci troviamo più forti di quanto pensavamo. Credo anche scopriremo che i nostri giovani, che ci paiono a volte “leggeri” e privi di responsabilità, sapranno essere molto più costruttivi e determinati di quanto pensiamo; certamente molto più di quanto sarebbero stati se i tempi facili e falsi dell’illusione fossero ancora durati.
Ero piccolo ai tempi dell’alluvione di Firenze, ma ricordo amici più grandi che negli anni successivi raccontarono lo stupore di quello che si vide. Si vide una generazione di giovani buttarsi nel fango a spalare venendo da ogni dove senza neppure essere stati chiamati. Eppure era una generazione di cui si diceva che fosse persa nella fumosità di figli dei fiori e del disimpegno.
Così sarà per i giovani del terremoto che – adesso che i muri della scuola non ci sono più – improvvisamente sentono di volere la scuola, magari quella in cui andavano mugugnando al mattino. Perché la scuola è parte di una realtà che uno ritiene immutabile (e che perciò può anche essere messa in discussione e venire a noia). Poi la notte in cui tutto cade, la si ricerca, la si rivuole. Si desidera la propria scuola: sotto una tenda, in un prefabbricato, magari. Si rivuole la propria scuola perché si vuole ricominciare a vivere, si vuole il proprio futuro.
Tocca a noi fare di tutto perché i nostri ragazzi possano in questo anno scolastico che inizia riavere la scuola come tassello ineliminabile della loro vita.
Ho incontrato i Dirigenti Scolastici delle scuole terremotate, ho ascoltato le loro parole e letto le loro comunicazioni. Rimarco la fermezza, l’impegno e la forza che hanno dimostrato e stanno dimostrando, a prova che è nei tempi duri che le persone attingono alle risorse più profonde e preziose. Tanti insegnanti hanno lavorato volontariamente nei campi per aiutare i bambini e i ragazzi, elaborando il lutto e contrastando la paura nel fare concreto e non nella lamentazione sterile e arresa. Sono tornati a scuola e sarà Scuola, perché in qualunque luogo in cui essi insegneranno la scuola sarà.
La scuola è fatta di persone che donano quello che sono mentre trasmettono quello che sanno. Giovanni Reale, scrivendo dell’arte di Riccardo Muti e della Musa platonica, osservava che si possono possedere tutte le conoscenze e abilità tecniche, eppure si può rimanere freddi, lasciando l’altro senza emozioni spirituali di rilievo.

Occorre qualcosa di più della pur necessaria competenza disciplinare. Platone nel Fedro segnala la necessità di appropriata connessione delle cose collegate fra loro e con il tutto. E ne La Repubblica aggiunge la necessità dell’amore per il bello. E’ il compito del docente, di qualsiasi ordine e grado di scuola, in qualsiasi luogo.
Perciò anche nel resto della regione, in cui i muri sono in piedi e saldi, sono certo che la volontà di rigenerare un nuovo futuro in questi tempi difficili saprà essere il filo conduttore dell’azione di tutta la comunità educante.
Il mio saluto alle scuole e agli insegnanti, agli allievi ed alle loro famiglie, ai dirigenti scolastici ed al personale delle segreterie come pure al personale degli uffici dell’amministrazione del Ministero parte dalla certezza nella speranza per il bene dei nostri figli, dei nostri allievi, del nuovo futuro che essi rappresentano.
Stefano Versari
Vice Direttore Generale
Ufficio Scolastico Regionale
per l’Emilia-Romagna

venerdì 14 settembre 2012

sapersi perdonare

E.Hopper - Morning Sun (1952)
Pubblico questo scambio di mail che ho avuto con un'amica:

Caro Giorgio,
ho fortemente condiviso quanto hai scritto tempo fa sul tuo blog, relativo alla nostra capacità di abituarci rapidamente alle cose, dando per scontate quelle belle e rischiando di non valorizzarle più. L'esempio del Sella da un lato (ci abituiamo in fretta e diamo per scontate le cose belle) e del pronto soccorso dall'altro (quando le gioie che fanno parte della tua vita ti vengono a mancare, ecco che le valorizzi e ne comprendi appieno l'importanza) sono perfetti.
Alle tue osservazioni posso aggiungere sensazioni simili, collegate però alle "cose cattive" della vita.
Nel momento in cui attraversi periodo molto difficili, per te o per le persone che ami, il primo pensiero è: "Non ce la posso fare, è troppo per me!".
Poi inizi a conviverci, e a capire che hai la forza di sostenere quelle prove.
La situazione evolve ancora. Cogli, all'interno di quelle situazioni, l'amore profondo che ti lega ad altri e verifichi che quando tutto andava bene non eri riuscito a comprendere il senso di quella profondità. Capisci che il pianto non è solo espressione di dolore, ma ha una natura mista, fatta anche di uno spirito di commozione che credevi di non possedere più. Comprendi che essere moglie e madre, realtà quanto mai diffusa, è un'esperienza che diviene straordinaria quando cogli appieno l'immenso amore che ti lega alla tua famiglia. Valorizzi e coltivi le amicizie importanti, rinunci a quelle superficiali.
Vorresti tanto, come si fa sulle lavagne scolastiche o su un file di word, cancellare le cose cattive per tenere solo quelle buone. Ma sai che non è possibile e comprendi che quanto risulta negativo si traduce in positività là dove ti consente di abbracciare la forza dei sentimenti e di provare il bene che provi verso altri.
Sei anche consapevole di essere una persona imperfetta, con tanti limiti e difetti, ma la forza che hai trovato vivendo le "cose difficili" ti permette una cosa che prima risultava impossibile: quella di saperti perdonare.
A.

G.Klimt - L'abbraccio (1909)
Cara A.,
i pensieri che hai scritto sono molto profondi e veri e sono alla base dell’esperienza concreta del mio lavoro di psicoterapeuta.
In realtà ciò che faccio da tanti anni è prevalentemente incontrare delle persone che soffrono perché si sono allontanate dalla coscienza di sé, dalla consapevolezza della propria essenza naturale, e quindi leggono anche tutte le cose della vita, sé stessi e le relazioni in primis, usando un alfabeto sbagliato.
I sintomi psicologici, tutti, nessuno escluso, diventano allora l’unica possibilità di rendersi conto che c’è qualcosa di sbagliato, qualcosa che non va nella relazione con la propria vita, e quindi cercare umilmente di trovare un modo di stare al mondo più autentico, più vero, più personale. Questo li porta a usare i propri veri criteri individuali di scelta, a sentire e frequentare chi davvero è simile, e a rinunciare alle relazioni che rendono la propria anima più povera.
Non è un’apologia del dolore fine a sé stesso, ma il vivere il dolore come fonte di crescita e consapevolezza.
Qualcuno purtroppo non ce la fa, ma chi riesce a passare attraverso Scilla e Cariddi, ha qualcosa in più degli altri, un’esperienza che rende diversi e che fa riconoscere quasi a pelle chi è sopravvissuto dopo essere passato attraverso esperienze analoghe alle tue. Chi ha salvato il suo bambino interiore e può ora prendersene cura per sanare quelle ferite che le circostanze della vita gli avevano inferto. E la vita diventa qualcosa di meno tragico, di più comprensibile, e la pietà e il perdono ne sono i frutti più belli.



mercoledì 12 settembre 2012

il pulcino Pio è morto

Quest'estate avevo sentito parlare del pulcino Pio, uno dei tormentoni dell'estate, una canzoncina di tipo infantile che tutti conoscevano. Io avevo saputo che il pulcino Pio era il protagonista e che alla fine della canzone veniva asfaltato dal trattore di un contadino.
Poi un giorno ho incontrato una bambina di circa 3 anni, visibilmente triste e dispiaciuta per la brutta fine del pulcino, che chiedeva al papà come mai il pulcino Pio morisse alla fine della storia.
L'espressione triste di quella bambina mi è rimasta dentro e ogni tanto mi è capitato di chiedermi: ma perchè il pulcino Pio deve morire senza un motivo preciso?
Poi ho visto il video della canzone, un cartone animato, in cui allegramente si presentano tutti gli animali della fattoria (come Nella vecchia fattoria,  cavallo di battaglia del Quartetto Cetra di tanti anni fa) e alla fine, senza motivo alcuno, il trattore del contadino schiaccia il pulcino in mezzo alla strada spegnendo il suo canto gioioso.
Le fiabe a volte sono truci, ma dietro alle morti, agli avvenimenti spaventosi, c'è quasi sempre un collegamento col senso più complessivo della vita (bene e male, vita e morte, ecc.) e quando questo collegamento apparentemente non c'è, fanno riflettere che esiste anche la morte, che le cose non vanno sempre a finire bene. Ma si tratta di una riflessione, che è adatta per i bambini un po' grandicelli, non per quelli di tre anni.
Qui, invece, il cartone animato è di quelli che guardano i bambini piccoli: presenta una situazione gioiosa, che poi termina improvvisamente in modo tragico senza spiegare niente.
Penso che un bambino di 3-4 anni possa rimanere turbato da questo non-senso della morte e, se avessi un figlio di quell'età, forse gli direi che il pulcino è andato sotto al trattore perchè non è stato attento ad attraversare la strada, in modo da dare un senso al finale della storia. Perchè le cose tragiche che non hanno un senso, creano dentro di noi delle ferite, anche profonde e durature.
Più in generale, mi chiedo perchè questa canzone ha avuto tanto successo. Non è che ci permette di guardare dall'esterno gli istinti sadici che covano dentro di noi senza sentirci colpevoli? Quegli istinti sadici che ci portano ad augurare con violenza tutto il male possibile a uno che ci attraversa la strada mentre corriamo in automobile, ad esempio? Non è che corrisponde a quel modo distaccato e poco compassionevole di guardare gli altri in generale (mors tua, vita mea) tanto comune al giorno d'oggi?
In fin dei conti, ad essere asfaltati in mezzo alla strada non siamo mica noi o i nostri familiari, è il pulcino Pio...

giovedì 6 settembre 2012

incontro sul narcisismo

J.W.Waterhouse - Eco e Narciso (1903)
Dopo il post del 9 dicembre 2011 torno a parlare di narcisismo, perchè su questo tema sto lavorando con la dott.ssa Maria Luisa Agostaro, amica e collega; insieme stiamo preparando un incontro pubblico che si svolgerà a Modena fra circa un mese e che sarà la continuazione del discorso iniziato il 5 maggio con la conferenza sulla comunicazione autentica nelle relazioni.
Il narcisismo ci appare infatti come un grave ostacolo alla realizzazione di relazioni autentiche in tutti i rapporti affettivi: nella coppia, nelle amicizie, nel rapporto genitori-figli, per non parlare del narcisismo in politica, nei programmi televisivi e nei rapporti sociali in generale.
 
Il post del 9 dicembre ha avuto a tutt'oggi 38 commenti, quasi tutti di donne che raccontavano la propria esperienza negativa vissuta in un rapporto affettivo con un narcisista.
In questo incontro vorremmo approfondire il tema, cercare di spiegare cos'è il narcisismo, come nasce, come si può riconoscere e cosa si può fare per difendersene. Ma anche quali sono le caratteristiche di personalità che rendono difficile limitare i danni quando ci si innamora di una persona con un disturbo narcisistico del carattere.
 
Crediamo che sia importante conoscere meglio le dinamiche psicologiche che si costellano nel rapporto con un narcisista per diventare più consapevoli delle relazioni affettive che si stanno vivendo e per essere il più possibile in grado di prendere le decisioni più sane e vitali, quelle che permettono di non soffrire inutilmente.