giovedì 29 dicembre 2011

come viandanti nel tempo

Klimt: L'albero della vita

Il tempo che viviamo è importante perchè è limitato: è proprio il limite a dargli senso. Se vivessimo un tempo infinito, esso avrebbe poco significato.

Lo dice anche la nostra esperienza: quando eravamo giovani sapevamo di avere ancora tanti anni davanti a noi e non avvertivamo troppo lo scorrere del tempo, mentre a una certa età ci si rende conto che non sono più tantissimi gli anni che si hanno ancora a disposizione e questa consapevolezza conferisce al tempo un valore maggiore.

Ricordare la finitezza della vita può essere il migliore stimolo a darsi da fare, a non sciupare le giornate nell'indifferenza o nella semplice speranza in un domani migliore.
D'altra parte, non bisogna nemmeno essere troppo ansiosi, non bisogna volere a tutti i costi trovare scorciatoie che ci permettano di realizzare troppo in fretta ciò che desideriamo.

Non è un caso che le più diffuse psicopatologie, l'ansia e la depressione, ruotino intorno al tempo, ma con segno opposto: da una parte il volere le cose in fretta e certe (ansia), e dall'altra il temere di non realizzare mai nulla (depressione).
Dobbiamo trovare un accordo con il Tempo, sincronizzare i nostri orologi interiori sulle diverse età della vita, a dispetto di chirurgie estetiche e pretese di eterna giovinezza, sforzandoci di percorrere il nostro cammino seguendo ritmi naturali.


Allora forse bisogna pensare al 2012 come a un anno in cui cercare di realizzare i progetti che ci stanno a cuore, quelli che coltiviamo con più sentimento dentro di noi. Con la consapevolezza dei nostri limiti ma anche con la forza della nostra determinazione, della volontà, chiamando a raccolta tutte le nostre capacità per fare del nostro meglio, che è il massimo che possiamo fare.

Ricordandoci che ci sentiamo vivi quando ce la stiamo mettendo tutta, quando non abbiamo rinunciato a cercare, quando siamo come i viandanti che semplicemente amano camminare, quando non abbiamo troppa paura di quella parte di noi che è aperta al nuovo e al futuro, quando lottiamo per qualcosa in cui crediamo senza lasciarci distrarre troppo dai risultati.
Rammentandoci anche che, qualche volta, sanamente, dobbiamo concederci di fermarci da qualche parte e riposare per tutto il tempo che ci serve per riprenderci e fare il pieno di nuove energie.

lunedì 26 dicembre 2011

sull'amicizia

Foto di Elisabetta Buonanno 
Nell'introduzione del libro La filosofia come stile di vita Romano Madera, parlando della intensità della sua amicizia con il coautore Luigi Vero Tarca, ci dice che la specificità del loro rapporto consiste nel fatto che il loro legame è tanto più forte quanto meno è esclusivo. Quanto più ciascuno dei due avverte l'altro capace di rivolgere la stessa offerta di condivisione e quindi lo stesso profondo affetto a ogni altro essere vivente, tanto più la loro amicizia diventa significativa.
Il loro rapporto di amicizia, quindi, è importante nella misura in cui infonde nell'amico un'energia vitale che gli permetterà di condividere più facilmente sentimenti amicali con altre persone.

L'amico diventa quindi un tramite, un ponte, per trasmettere energia ad altre persone senza che il rapporto amicale ne soffra. L'esatto opposto di ciò che accade quando si pretende che un'amicizia sia esclusiva.
A volte un'amicizia si consolida perchè è contro qualcun'altro, contro un comune nemico. Credo invece che abbiamo bisogno di amicizie e di rapporti umani che non nascano dalla necessità di difenderci dai nemici, ma che abbiano la loro origine nelle affinità personali.
Per conoscere potenziali amici è necessario che ci facciamo vedere per quello che siamo veramente, cosicchè la persona che ci è affine ci riconosca con facilità e venga verso di noi spontaneamente.
Foto di Pasqual Morello
Al giorno d'oggi sembra che sia difficile trovare amici e molte persone si preoccupano di trovare i modi giusti per cercare nuove amicizie. In realtà il modo giusto è uno solo: c'è una legge di natura che stabilisce che gli affini si attraggono, però bisogna farsi riconoscere, andando in giro senza  maschere troppo coprenti.
Basta sapere, più o meno, chi si è e cosa si cerca e non scoraggiarsi se occorre un po' di tempo per incontrare le persone giuste: se ne perde molto di più a correre dietro a persone che appaiono troppo lontane da ciò che desideriamo.
E' molto difficile, spesso impossibile, cambiare una persona. L'amicizia esiste di per sè, a motivo del fatto che due persone sono sulla stessa lunghezza d'onda: noi dobbiamo solo sentirla e riconoscerla. 

venerdì 23 dicembre 2011

Un Natale speciale

Dedicato a tutti coloro che a Natale sono soli
e temono la solitudine:


Quest'anno a Natale voglio farmi un regalo speciale:
mi regalo il Natale.
Voglio che questo Natale sia un giorno tutto mio,
dedicato solo a me.
Lo passerò facendo solo cose che mi fanno felice:
dormire fino a tardi, poltrire nel letto,
farmi un bel bagno caldo,
curare il mio corpo,
leggere, scrivere, ascoltare i miei sogni.
Coccolarmi nel mio mondo interiore,
suonare, disegnare, accarezzare i gatti.
Prepararmi qualcosa da mangiare
ma senza esagerare.
Godere del fatto che
non dipendo da nessuno,
che sono libero di fare
ciò che più mi pare.

Fa presto ad arrivare il primo pomeriggio
e se mi va posso anche fare un po' di ordine
in mezzo alle cose che nel tempo
si sono ammucchiate:
posso aprire e riordinare
vecchie carte, cassetti, bauli ed armadi.
Sono io il festeggiato oggi,
e ho diritto di fare quello che mi va.

Ecco, a questo punto sono pari agli altri,
a quelli che si alzano ora dalle tavole imbandite,
e lamentandosi perchè hanno mangiato troppo,
salutano e ritornano a casa.
Se ho voglia di uscire posso trovare
un film che mi piace davvero
o magari uno che ho in casa
e che da tanto tempo volevo vedere.

Arriva la sera:
è ora di mangiare qualcosa, anche
quel dolce speciale
che mi sono comperato
perchè non ho resistito
alla tentazione di farmi un regalo.

Che bello!
Oggi non ho dovuto correre,
non avevo impegni da onorare
nè orari da rispettare.
Oggi mi sono voluto bene,
mi sono preso cura di me,
mi sono dedicato tempo e attenzioni
e mi propongo di farlo
anche in futuro,
tutte le volte che potrò.

E' bello stare in compagnia,
ma non è poi così male
nemmeno stare soli
se ci si vuole davvero bene,
tutti i giorni dell'anno,
compreso il Natale.

domenica 18 dicembre 2011

l'importanza del nonno

Incontro mensile di lavoro tra amici-colleghi psicoterapeuti: senza un motivo particolare si arriva a parlare della insicurezza dei giovani.


Parliamo insieme a ruota libera per circa un'ora su questo argomento, poi a un certo punto il discorso arriva, casualmente, ad avere come tema i nonni, in particolare il nonno.
Si parla di come i bambini di oggi abbiano dei nonni diversi da quelli di quarant'anni fa: nonni mediamente più vecchi, ma con maggiori desideri di autonomia e libertà, che abitano più lontano, meno presenti nella quotidianità. 
Emerge il ricordo di una di noi, siciliana d'origine, che non vide mai il nonno perché venne ucciso dalla mafia per non essersi piegato. La figura eroica di questo nonno, assente fisicamente ma sempre presente col sacrificio della propria vita, ha indirizzato i comportamenti di tutta la famiglia verso la serietà, l'impegno, la determinazione morale, la salvaguardia della dignità: di fatto si è trasformato in un esempio da seguire.
Qualcuno afferma: ma non sarà che a mancare maggiormente ai giovani di oggi sia proprio   la determinazione e i racconti dei nonni, carichi di forza e di senso?
E ci si chiede: come mai il discorso è partito dall'insicurezza dei giovani ed è arrivato ai nonni? Non ci sarà una relazione  tra le due cose?

Poi arriva il ricordo di uno di noi, dell'importante ruolo che ha avuto la figura di suo nonno quando  lui era piccolo, della gioia provata nell'ascoltare i racconti del nonno; un altro di noi, riferendosi alla sua esperienza di nonno oggi, racconta del nipote che lo cerca sempre, di quanto egli sia felice di stare con lui e sentirlo raccontare le proprie esperienze di vita.
Allora ci chiediamo: cosa rappresenta la figura del nonno per il cucciolo d'uomo?
Forse rappresenta l'opportunità di  avere davanti a sè l'esempio di una vita vissuta tutta e interamente, la possibilità di immaginare che anche a lui capiterà di vivere tanto a lungo e fare tante esperienze: il nonno come un capotribù, con un suo carisma, con la sua saggezza che gli deriva dalla forza dell'esperienza.
Ma ce ne sono ai nostri tempi dei nonni così, che raccontano con partecipazione ma anche con un po' di distacco le vicende di un'intera vita? Non sarà che i cuccioli d'uomo crescono più insicuri perchè un po' abbandonati a sé stessi o perchè troppo contagiati dalle ansie continue e a volte eccessive di madri e padri preoccupati per mille cose diverse?
Insomma: chi non vorrebbe aver avuto un bel nonno semplice e forte, ma anche generoso e affettuoso?
Non darebbe un po' di  sicurezza aver avuto un nonno così?

giovedì 15 dicembre 2011

Se questa è una schizofrenica


E se una signora di 70 anni con diagnosi di schizofrenia vi raccontasse che da ragazzina, mentre le altre bimbe giocavano con le bambole, si incantava a guardare "Amore e Psiche", il capolavoro del Canova?
Se poi la stessa signora aggiungesse al racconto che lei percepiva in quella statua qualcosa di elevato, che non  aveva a che fare solo e semplicemente con la sessualità?
E se, ancora lei, la signora di prima, vi mostrasse una tavoletta in ceramica, appesa al muro di casa sua, con su scritto "La misura giusta dell'amore è amare senza misura", confidandovi che per lei è importantissima, anche se magari nessuno le ha mai detto che si tratta di una frase di Sant'Agostino, voi che idea vi fareste di lei?
Che è schizofrenica?

martedì 13 dicembre 2011

lo stalking: l'altro è mio per sempre

Per stalking si intende normalmente il comportamento di chi è stato lasciato dal partner e lo perseguita in continuazione con telefonate, sms, appostamenti sotto casa, inseguimenti in auto, ecc.
La motivazione di questi comportamenti è quasi sempre il fatto che chi è stato lasciato non riesce a staccarsi affettivamente dall'ex-partner, non accetta che egli sia ritornato una persona completamente libera. Rimane fortissima la speranza di un ripensamento dell'altro, con continue sollecitazioni, costituite nei casi meno gravi da vari tipi di blandizie e in quelli più gravi da minacce e violenza.
Il dato di fondo sempre presente è, comunque, che una persona non accetta che l'altro non lo ami più e che possa amare un'altra persona.
Il nucleo patologico profondo dello stalker è il sentimento di possesso che egli ha nei confronti dell'ex-partner, come se costui fosse una parte del proprio corpo e della propria anima, che ovviamente non hanno il diritto di abbandonarlo e diventare autonomi.
Come raccontava Romina in un commento al post precedente, questo sentimento di possesso può esistere anche se non c'è stata tra i due una vera e propria relazione, perché a volte lo stalker identifica una persona concreta con il proprio partner ideale e non accetta che qualcuno gliela porti via: deve rimanere libera da vincoli, a sua sola ed eterna disposizione, perchè la identifica come sua.


Questo meccanismo patologico può, in casi gravissimi, degenerare fino all'uccisione dell'altro; il ragionamento è: o per sempre con me o di nessuno mai.
Per cercare di riconoscere questi soggetti bisogna rivendicare, fin dall'inizio di una relazione, spazi naturali di libertà personale e vedere come l'altro reagisce. Se ci si rende conto che per l'altro il bisogno di controllarci e averci sempre al suo fianco cresce oltre limiti normali, bisogna valutare attentamente la situazione.

Nel caso in cui siano già cominciate le molestie, occorrerà mantenere un atteggiamento di distacco assoluto, di chiusura totale delle comunicazioni, perché qualsiasi attenzione, qualsiasi frase, qualsiasi momento dedicato al dialogo con lo stalker, può venire da lui interpretato come il segnale di un cedimento alle sue aspettative, un incoraggiamento alla sua attività molesta.
La maggior parte degli stalker sono maschi, ma esistono esempi anche al femminile.
Credo che questa patologia ci debba fare riflettere sull'importanza di stabilire relazioni che non siano all'insegna del possesso dell'altro e della identificazione dell'altro come parte di noi stessi.
L'altro è sempre un altro: non è mai una parte di noi (anche perchè altrimenti non sarebbe possibile nessuna relazione realmente autentica, dialogica e paritaria).

venerdì 9 dicembre 2011

il narcisismo


Narciso secondo Caravaggio
Il narcisismo è una delle psicopatologie più diffuse nella nostra società. Innamorarsi di un narcisista può portare a grandi, inutili e prolungate sofferenze, per cui è fondamentale cercare di rendersi conto se la persona di cui ci si è innamorati sia affetto da questa patologia per cercare di difendersi (e con un narcisista l'unica difesa possibile è, quasi sempre, chiudere il rapporto affettivo).
Il narcisista, a differenza di ciò che abitualmente si crede, non è capace di amarsi perchè non è mai stato amato in modo per lui sufficiente e proprio qui sta il suo problema; infatti, non amandosi, è obbligato ad andare a cercare l'amore, il riconoscimento e l'apprezzamento degli altri in modo compulsivo, esattamente come un drogato ha bisogno della dose quotidiana.
E' una necessità talmente forte la sua, che il narcisista deve realizzarla a tutti i costi, senza potersi permettere di pensare al male che può fare agli altri facendo incetta di tutto l'amore che trova in giro; non è in cattiva fede, ma, non essendo capace di amare, ha bisogno di avere l'amore degli altri, non ne può fare a meno.
Poichè il narcisista non è capace di amare gli altri, non riesce a stare dentro ad un rapporto amoroso con stabilità e costanza e questo rende tragica la relazione affettiva con un narcisista.
Fino a quando egli nella relazione amorosa riceve l'affetto e l'attenzione dall'altro, non c'è problema, ma quando, come è naturale che sia, prima o poi, gli viene anche chiesto di dare, di fare qualche fatica, qualche sacrificio per il bene dell'altro, il narcisista non ce la fa, non ce la può fare, dà segni di stanchezza e la relazione comincia a diventargli stretta.
Orson Welles nelle vesti di Citizen Kane
(Quarto Potere) 
Chi, in buona fede, si innamora di un narcisista, affascinato da qualche sua bella caratteristica (che egli esibisce come un pavone appena ne ha la possibilità, per attirare sempre nuove prede), rischia, se inesperto, di fare una gran brutta esperienza.
Il narcisista, infatti, fa sempre di tutto per fare risaltare le proprie caratteristiche seducenti, ma all'unico scopo di far innamorare di sè la preda di turno, per farsi amare e quindi sentirsi gratificato. Il suo bisogno però è continuo e inappagabile, cosicchè una volta conquistata una preda, ha bisogno di essere amato da qualcun altro per avere nuove conferme. E per quante conferme potrà ricevere, non saranno mai abbastanza
Proprio perchè non si ama e non è capace di amare, gli è impossibile stare troppo a lungo in una relazione d'amore; appena gli viene richiesta una qualche forma di impegno, di fatica o di rinuncia, il narcisista abbandona il campo giustificandosi con mille pretesti: che non è quello l'amore che cerca, che non sente più i campanellini suonare, che non si sente pronto, che non si sente degno dell'amore dell'altro, eccetera. Le giustificazioni possono essere le più svariate, ma il senso è sempre quello: me ne vado quando mi devo impegnare.
Bisogna assolutamente riconoscere un narcisista e fare come chi va a cercare i funghi, che deve riconoscere e non raccogliere quelli che sono tossici o mortali.
Purtroppo non c'è speranza di modificare la struttura narcisistica di personalità, a meno chè la patologia sia molto leggera, ma in quel caso bisogna assolutamente osservare i fatti, i gesti, le azioni che il narcisista compie e giudicare in base a quelli, non dando assolutamente importanza alle sue parole e alle sue promesse.

(Per tornare alla homepage del blog: http://www.lapoesiadellapsiche.blogspot.it/ )

lunedì 5 dicembre 2011

la necessità della cova


Opera di Giampaolo Tomassetti

Stamattina, appena sveglio, mi stavo godendo il calore del letto sotto al piumone, mentre la mia mente seguiva un immagine, un pensiero che mi portava lontano, ad altre immagini e ad altri pensieri.
E mi è apparso chiaro quanto sia importante covare al caldo i propri pensieri, i propri sentimenti.
Voglio dire che come le uova degli uccelli o di altri animali hanno bisogno di qualcuno che ci stia accovacciato sopra a lungo per proteggerle e dare loro calore, così anche ciò che comincia a circolare in modo spontaneo e un po' confuso nella nostra mente e nel nostro cuore ha bisogno di tempo, cura e calore per maturare, ha necessità insomma di essere covato per acquistare una forma e una sostanza più precise e più concrete.
Covare significa stare amorevolmente attorno al nostro uovo-idea o uovo-sentimento, stando attenti a non schiacciarlo col peso di conclusioni affrettate, creare cioè le condizioni ideali affinchè possa avvenire un processo naturale  di trasformazione.
Opera di Giampaolo Tomassetti
E dobbiamo covare con cura e con costanza nel tempo finché ci appare necessario: guai ad abbandonare il nido prima!
Ma stare lì a covare non è semplice.
Penso a quanti stimoli ci bombardano continuamente e ci distolgono dallo stimolo precedente, come se un uccello cambiasse l'uovo da covare ogni cinque minuti: sicuramente non nascerebbe niente e il calore della cova verrebbe disperso inutilmente.
Credo quindi che dovremmo cercare di selezionare con cura gli stimoli per covare solo quelli che sono per noi essenziali, senza volerci impegnare in troppe cose od occuparci di tutto.
Le magie riescono solo ai maghi e molto spesso sono illusioni.
E anche se all'inizio l'idea o il sentimento nascono in un lampo, da un'intuizione o un colpo di fulmine, con la stessa velocità dello spermatozoo che feconda l'uovo, dopo, per far nascere qualcosa di vitale, dobbiamo covarlo con assiduità, senza stancarci e senza abbandonare troppo presto il nostro progetto.

venerdì 2 dicembre 2011

la nostra vita e la Vita


Spesso ci dimentichiamo delle cose più semplici, creandoci un mondo di difficoltà  nel nostro vivere quotidiano, dimenticando, ad esempio, la profonda differenza che c'è tra la nostra vita e la Vita.

Noi non possiamo modificare la Vita in sé, ma possiamo tuttavia cercare di plasmare la nostra vita, cioè il nostro modo di stare al mondo, realizzando un risultato limitato, sì, ma concreto ed efficace negli effetti che può determinare sulle nostre relazioni quotidiane.
Noi possiamo cioè modificare la Vita soltanto attraverso la nostra vita, non possiamo fare di più, ed è per questo che è sommamente importante prenderci cura anche di noi stessi.
La Vita è un contenitore che comprende tutto ciò che è umanamente possibile: dal bello più bello fino al brutto più brutto, dal sommamente giusto all'infinitamente ingiusto.
Opera di Francesco MUSANTE
Molto spesso la disperazione è il frutto della mancanza di sentimento vitale, della sensazione di non riuscire a fare abbastanza, nasce dall'impressione che il mondo sia dominato dal male.
Ma bene e male fanno parte della Vita: è sempre stato così e sarà sempre così; a noi il compito di fare la nostra parte, con impegno.  Io credo che il senso del vivere sia riassumibile proprio in questo: cercare di fare tutto ciò che possiamo per fare la nostra parte, nel miglior modo possibile, con tutte le energie che abbiamo a disposizione.  Se ci lasciamo abbattere dalle contrarietà, se diventiamo passivi, non potremo più contribuire al bene del mondo. E’ per questo che dobbiamo cercare di mantenere in buona forma il nostro corpo e la nostra anima.

L’insegnante che desidera il bene dei propri alunni, il medico o l’infermiere che desidera la guarigione dei propri malati, lo psicoterapeuta che fa il tifo per i propri pazienti,  sono tutte persone accumunate dalla forza di volontà che nasce dal sentimento. Anche nelle nostre relazioni quotidiane possiamo aiutare il prossimo solo se coltiviamo un sentimento di benevolenza, di empatia, di vicinanza umana con l'altro: aldilà del guadagno personale e della realizzazione certa di risultati soddisfacenti.
E' lo sforzo che conta, il provare a fare ciò che si sente buono e giusto, nel rispetto dell'altro e accettando il fatto che si può anche non riuscire nei propri intenti.

L'importante è cercare di essere quello che si è veramente e sentire che la responsabilità di ciò che accade è sulle spalle di tutti, non solo sulle nostre o solo su quelle degli altri.

martedì 29 novembre 2011

prendersi cura

Stasera ho partecipato ad una iniziativa organizzata dall'associazione donne-medico di Modena: la proiezione del film L'albero di Antonia, seguita da un dibattito sul tema del prendersi cura dell'altro.
Antonia, la protagonista del film, si prende cura di tante persone: accoglie e rende felice una minorata psichica che subiva violenze nella propria famiglia, accoglie una donna con due figli rimasta senza casa, accoglie un prete che decide di rinunciare ai voti, consente alla propria figlia di farsi mettere incinta da un uomo allo scopo di tenere il bambino ma non il compagno, ecc.
Il punto importante è che mentre Antonia si prende cura degli altri, fa la stessa cosa anche con sè stessa, vivendo quindi le relazioni con gli altri e con sè stessa con disponibilità e gioia in un clima di verità.
Nel film non mancano momenti tragici, violenze e morti efferate, ma nella vita ci sta anche quello e la regista non fa nulla per nasconderlo.

Interessante il dibattito che ha seguito la proiezione del film: tra gli altri interventi, una dottoressa faceva notare come i medici considerino perlopiù solo negativamente la morte e tendano a difendersene considerandola un evento di routine, invece di viverla come un evento luttuoso ma naturale della vita umana; un altro medico ha accennato alla necessità di rapportarsi sempre meglio con i pazienti anche sul piano affettivo-relazionale.
Alla serata hanno partecipato più di cento persone, tra medici e infermieri, e mi è sembrato importante che si siano ritrovati per riflettere sul tema del prendersi cura dei pazienti attraverso l'ascolto, l'empatia e l'attenzione perchè a volte le persone, soprattutto gli anziani, si ammalano anche perchè non hanno nessuno che le ascolti, che presti loro attenzione, che voglia loro davvero bene e glielo manifesti.
E' vero che un medico di famiglia non può ascoltare tutti come se fosse uno psicologo, ma prendersi un po' cura della relazione col paziente, oltre che del suo corpo, è a mio avviso un comportamento fondamentale sia dal punto di vista umano che da quello terapeutico.

domenica 27 novembre 2011

ti amo

Vasilij Vasil'evič Kandinskij

Chi pensa che ti amo sia una espressione che ha per tutti lo stesso significato, si sbaglia di grosso. E' vero l'esatto contrario: ciascuno di noi, quando dice ti amo, dice una cosa che ha un significato estremamente soggettivo.
Quando le canzonette più banali strillano ti amoooo... hanno tanto successo perchè dicono una cosa generica e collettiva, che ciascun ascoltatore interpreta e modula secondo la propria concezione dell'amore.

 Per qualcuno amare significa darsi completamente all'altro, esporsi, mettersi in condizione di essere anche ferito dall'altro, dal suo abbandono o dal suo rifiuto, rispettando l'altro, lasciandolo libero e non facendolo sentire sbagliato o colpevole per essere diverso da sé in qualcosa.

 Altri dicono ti amo, ma tendono a difendersi da un coinvolgimento emotivo troppo impegnativo e tengono sempre aperta qualche porta per potere, in caso di bisogno, sfilarsi dal rapporto per andarsene altrove.

 Poi c'è anche chi tende a preoccuparsi continuamente di non perdere il controllo della relazione e quasi mai lascia scegliere o decidere il da farsi anche all'altro.
Edward HOPPER
C'è chi dice ti amo perchè ha bisogno di continuare ad avere con il partner lo stesso ruolo di figlio/a che aveva con la madre o il padre, con l'unica differenza che col partner ci fa anche l'amore.
C'è chi dice ti amo perchè deve averti, perchè tu hai delle caratteristiche che lui/lei non ha e tu supplisci alle sue mancanze.
C'è chi dice ti amo perchè sei bella/o, ricca/o, parli bene, sei colto/a, sei un intellettuale, sei indecifrabile, sei selvaggio/a, fai l'amore bene, ecc. ecc.
C'è chi dice ti amo perchè ha desiderio o bisogno della cerimonia del matrimonio, della festa con gli invitati, di un figlio e di una casa dove vivere insieme allontanandosi dai genitori.
Molte volte, quando ci sentiamo dire ti amo, pensiamo automaticamente che l'altro dia a questa espressione lo stesso significato che gli diamo noi. Può darsi che sia così, ma non è detto.
Dobbiamo prestare attenzione ai nostri sentimenti e alle nostre intuizioni, ma anche ai fatti, al comportamento concreto dell'altro e dare alla relazione tutto il tempo necessario per potersi mostrare nei suoi contenuti reali, per riuscire a scoprire se la nostra concezione dell'amore è simile a quella dell'altro, se amare significa davvero per entrambi la stessa cosa, se tutti e due siamo realmente capaci di amare. 

mercoledì 23 novembre 2011

pensare per immagini


Si può pensare in due modi diversi.
Il primo è quello logico, razionale, quello che siamo abituati a chiamare pensiero: ci concentriamo su un argomento e cerchiamo di sviluppare concatenazioni logiche, ragionamenti che abbiano un percorso logico. Quando ci troviamo a dover affrontare problemi che non riusciamo subito a risolvere, ci stanchiamo al punto che a volte ci viene mal di testa, tanto ci impegnamo nella ricerca di un risultato.

L'altro modo di pensare è completamente diverso, è un pensare per immagini, è quello che siamo abituati a chiamare immaginazione o fantasia. Eppure, se ci riflettiamo bene, anche quello è un modo di pensare, un'attività della mente che, a differenza del primo, non ci stanca mai.
Questo secondo modo di pensare funziona così: non mi concentro su nulla, anzi lascio che la mia mente sia senza obiettivi, la lascio fluttuare nel vuoto, come se galleggiasse sul nulla; mi limito semplicemente a non indirizzarla, a non intervenire, a registrare semplicemente le immagini e le associazioni che si presentano spontaneamente. Lascio la mia mente libera di viaggiare, come un uccello che vola nel cielo sopra di me.
La nostra cultura ritiene questa attività una perdita di tempo, una forma d'ozio tipica di sfaccendati e smidollati. Ma non è così!
Ciò che si presenta spontaneamente e improvvisamente alla nostra mente può essere qualcosa di molto importante che ci riguarda intimamente, non definibile come una semplice fantasia casuale.
Possono essere concatenazioni spontanee di immagini che ci portano a individuare possibili soluzioni a problemi attuali o prospettive per sviluppi futuri della nostra vita; possono essere intuizioni capaci di scardinare la griglia razionale in cui la realtà ci tiene prigionieri, una realtà che spesso ci sta stretta o che ci appare senza via d'uscita.
Con l'immaginazione, infine, possiamo intuire, con dovizia di particolari, cambiamenti e trasformazioni della realtà che poi razionalmente cercheremo di realizzare.

Non c'è nulla di più triste che essere prigionieri di una situazione esistenziale che ci opprime e non riuscire nemmeno ad immaginare una possibile soluzione. L'immaginazione ci permette proprio di rompere queste barriere, di vedere qualcosa che ancora non esiste nella realtà, ma che, nel momento in cui lo immagino, inizia ad esistere nella mia consapevolezza.
E soltanto ciò che riusciamo ad immaginare possiamo poi trasformare in realtà.

Tutte le scoperte, le invenzioni, le trasformazioni che sono avvenute nella storia umana o sono nate per caso, o sono state prima immaginate da qualcuno; la stessa scienza è debitrice all'immaginazione di buona parte delle proprie scoperte.

Certo, il pensiero logico e razionale è fondamentale, ma il pensiero immaginale non è sicuramente da meno; la loro collaborazione è fondamentale per il nostro sviluppo e solo gli ingenui o gli sciocchi possono credere che uno dei due sia necessario e sufficiente e che l'altro si possa impunemente trascurare.

venerdì 18 novembre 2011

quando qualcosa nasce


Quando qualcosa è nato da poco, come questo blog, deve essere trattato con molta cura e delicatezza.

Non si può essere troppo rudi e non si possono avere troppe certezze; è meglio essere interiormente flessibili e osservare con attenzione e senza impazienza i piccoli mutamenti che avvengono: ad esempio i minuscoli movimenti del corpo di un neonato.

Bisogna proteggere le nuove creature da eventi stressanti troppo forti: il filo d'erba appena spuntato richiede condizioni meteorologiche tranquille per rafforzarsi e diventare robusto, evitando il rischio di essere sradicato dall'acqua o dal vento.
Anche un amore, all'inizio, deve essere trattato con estrema delicatezza.
Bisogna fare attenzione a non interpretare affrettatamente le parole e i gesti dell'altro, bisogna sapere che ciascuno è abituato a dare significati personali alle parole che usa e che la reciproca conoscenza si fonda sulla consuetudine, sulla somma di tante esperienze vissute in comune.

Quasi tutte le relazioni all'inizio sono fragili: le amicizie, ad esempio, si consolidano nel tempo, soprattutto quando si riescono a confessare e convidere gli aspetti meno brillanti e luminosi della propria personalità.
Anche il rapporto tra paziente e psicoterapeuta può avere bisogno di un certo periodo di rodaggio, perchè un'intesa profonda è spesso frutto di approssimazioni successive.


 
Ma è soprattutto quando qualcosa sta nascendo dentro di noi che dobbiamo essere sanamente materni, attenti e pazienti: quando sentiamo per la prima volta lo stimolo a fare qualcosa di nuovo, a incamminarci per una certa strada o ad abbandonarne una vecchia.
In quei momenti è fondamentale concedersi tempo per ascoltarsi con sincerità ed affetto, perchè il nuovo ha bisogno di spazi vuoti per poter arrivare alla coscienza: bisogna che la testa ascolti ciò che dice il cuore e non abbia la presunzione di decidere subito da sola.

Spesso è un sogno che, quando lo ricordiamo, ci porta uno stato d'animo nuovo, vitale e creativo, magari un sogno in cui la sognatrice è incinta o partorisce... Oppure quando si sogna di fare un viaggio in una zona sconosciuta della nostra psiche, un luogo per qualche motivo particolare, che ci dà sensazioni di gioia e benessere.

In ogni caso, qualcosa di nuovo nasce dentro di noi ogni giorno, perchè la nostra anima è una fonte continua di creatività, per cui bisognerebbe trovare tutti i giorni un po' di tempo, anche poco, per stare da soli con sè stessi, per ascoltarsi, per cogliere gli stimoli che la nostra anima ci manda, per coccolarsi un po' se è necessario, altrimenti corriamo il rischio di dimenticarci di noi, della nostra realtà più vera e di vivere una vita fondata esclusivamente sugli stimoli che ci mandano gli altri.

martedì 15 novembre 2011

le parole che curano



Come sono le parole della psicoterapia?
Sono come quelle scritte sui libretti di istruzioni degli oggetti che compriamo o sono come quelle delle poesie?

Rispondere in un modo o nell'altro a questa domanda fa una bella differenza.
In realtà esistono tipi diversi di psicoterapia: in alcuni hanno più importanza le istruzioni per l'uso, in altre la relazione emotiva tra paziente e terapeuta.

La psicoterapia viene anche definita la terapia con le parole, ma bisogna chiedersi ogni volta come sono queste parole, da dove nascono, in che modo vengono dette, perchè proprio quelle e in quel momento (e dicendo questo mi riferisco sia alle parole dette dal terapeuta che a quelle dette dal paziente).

E perchè un paziente con un terapeuta non si sente di dire quasi niente, mentre con un altro parla di sè per un'ora intera senza rendersene conto?

Credo che si possa parlare anche di terapia attraverso la relazione, di terapia che è un incontro di due personalità che si parlano usando le parole, ma che entrano comunque in una relazione profonda tra loro.

Negli anni della mia formazione, ho sempre scelto per me terapeuti le cui parole mi entravano nella pancia oltre che nella testa, parole calde, umane, aperte alla vita, a un lavoro da fare insieme senza nessuna garanzia assoluta se non quella dell'impegno reciproco e di un sentimento positivo che ci accumunava.
Ho sempre sentito che l'altro ce la metteva tutta per me, che si spendeva e non tirava indietro nè la parola nè il cuore.
Non sto dicendo che basta volere bene a qualcuno per aiutarlo ad uscire dai suoi problemi, però a volte aiuta, anche se ci vuole una preparazione adeguata soprattutto per trattenersi, per non dire la parola sbagliata al momento sbagliato.
Ma se c'è l'intesa profonda, se si diventa fan (con giudizio) del proprio paziente, le cose hanno più probabilità di andare nella giusta direzione.

Insomma, dire terapia con le parole in sé può non significare quasi nulla.
Ma se immaginiamo un albero dal quale, come frutti, nascono le parole, bisognerebbe cercare di sentire sempre qual'è il loro sapore e il loro profumo, cercare di intuire come stanno le radici profonde dalle quali esse hanno origine, qual'è la vitalità della linfa che le attraversa, e ricordare che se anche una pianta è un po' sofferente, il prendersene cura con affetto può restituirle naturalezza e benessere.
Le parole che curano sono come acqua cristallina che scaturisce da una sorgente interna pura e naturale, sono frutti di un albero che è riuscito a crescere sano e sufficientemente robusto, nonostante le difficoltà quotidiane, le parole che curano sono quelle che ci riscaldano l'anima e ci danno fiducia e speranza.

giovedì 10 novembre 2011

psicoterapia e poesia


Foto di Monika Bulaj
 Se c'è una cosa che ho imparato in tanti anni che faccio lo psicoterapeuta, è che il mio lavoro ha molto a che fare con la poesia, il mio lavoro è soprattutto poesia.
Essere in relazione con un altro essere umano, cercare di sentire i suoi bisogni, i suoi tempi, i suoi ritmi: una specie di metrica umana, un dialogo che si dipana come i versi di una poesia.

Due cuori che battono vicini: uno che soffre e cerca la strada per stare meglio, e l'altro che ascolta e si ascolta, cercando strategie e percorsi possibili per giungere al superamento di uno stato di impasse esistenziale.
Sbloccare l'immaginazione, riuscire a immaginare il paziente mentre vive la sua esistenza in modo più autentico, più sereno e sicuro di sè, finalmente liberato da timori, paure e sensi di colpa.
Restare nella relazione, farsi carico delle paure dell'altro, accoglierle senza svalorizzarle e senza dare risposte superficiali, affrettatamente rassicuranti.
Esserci, continuare ad esserci anche quando il paziente manifesta il suo dolore profondo, la sua disperazione, i ricordi che fanno soffrire di più.
Fare sentire che non si ha paura, non perchè si usano tecniche di autocontrollo, ma perchè, anche se si teme la possibilità del naufragio, la speranza è comunque più grande ed è basata su percezioni interiori forti e precise.
Psicoterapia come poesia: a volte tragica, quando il percorso psicoterapeutico si interrompe o non riesce ad avviarsi, a volte epica, quando si lotta e si battaglia per raggiungere un obiettivo che si sente a portata di mano ma che è difficile da realizzare, a volte comica o ironica, quando si ride insieme come amici di lunga data.
Senza perdere mai la consapevolezza che è vero che i pazienti possono stare meglio grazie al rapporto con lo psicoterapeuta, ma è anche vero che lo psicoterapeuta senza i suoi pazienti non potrebbe fare il proprio lavoro.
E senza dimenticarsi che, una volta uscito da quella stanza e da quel ruolo, lo psicoterapeuta diventa simile ai suoi pazienti: una persona che vive la loro medesima condizione umana, un verso tra gli altri versi, in quella antichissima e attualissima poesia che per tutti è la vita.