domenica 10 novembre 2013

elogio della ricerca

Cresce sempre di più, nella nostra società, il valore che si dà ai prodotti finiti, mentre cala l'interesse per i processi di produzione, per l'attività di ricerca che ne permette la realizzazione.
All'inizio degli anni '80 l'Olivetti, che era leader mondiale nel suo settore, chiuse l'attività di ricerca, pensando di copiare o comprare il risultato della ricerca di altri; il risultato fu che, nel giro di dieci anni, quell'industria cessò di esistere.
Il discorso non riguarda solo la produzione di oggetti. 
Nell'ambito della psicoterapia, ad esempio, cresce sempre di più il numero di persone che cercano qualcuno che possa offrire una soluzione preconfezionata, perchè vorrebbero comprare un prodotto creato da altri che consenta loro di trovare la soluzione ai propri problemi esistenziali; costoro sono scarsamente interessati a fare un'attività di ricerca personale per conseguire quel risultato. E' un atteggiamento forse figlio della nostra società, che tende a voler accorciare al massimo gli spazi e a velocizzare il tempo.
Questo modo di fare espone però al rischio della dipendenza: il prodotto, invece di essere al nostro servizio, rischia di farci diventare dipendenti da sè e dal suo uso.
Spesso ci dimentichiamo dei processi naturali di crescita e sviluppo, che sono faticosi e lenti, se paragonati a quelli degli oggetti ipertecnologici che, con le loro prestazioni, ci regalano l'ebbrezza di sentirci quasi onnipotenti.
Il massimo della velocità si raggiunge nella dimensione dell'usa e getta, dove ad un oggetto se ne sostituisce un altro senza soluzione di continuità, come avviene in tante relazioni interpersonali, soprattutto quelle a sfondo prevalentemente sessuale.
In questa dimensione, è abolita la storia, quindi la valorizzazione delle nostre radici, della nostra reale essenza individuale fatta necessariamente di luci e ombre, di pregi e difetti: ombre e difetti che gli oggetti ipertecnologici non possono assolutamente possedere, pena la loro immediata espulsione dal mercato.
Noi stessi rischiamo di vederci, immaginarci e trattarci come oggetti, pronti a considerarci inadeguati se non siamo sempre e in ogni caso efficienti e a volte pensiamo di risolvere i nostri problemi andando in libreria a cercare un manuale di comportamento o in farmacia a comperare una pillola, che ci permettano in pochissimo tempo di recuperare il massimo dell'efficienza.
Tendiamo a non considerarci più soggetti che possono operare per la propria guarigione, che possono ogni giorno costruire e inventare la propria storia, ma oggetti ai quali un libro o una pillola (che diventano i soggetti) possono modificare il comportamento. E se in qualche momento piuttosto duro questo può anche avere un senso, quando diventa un sistema di vita, potrebbe essere opportuno rifletterci un po' sopra per cercare il modo di recuperare il desiderio e la capacità di essere semplicemente ciò che veramente siamo.
   

3 commenti:

iriselibellule@gmail.com ha detto...

Ho letto in questi giorni "Il signore delle anime" di Irène Némirovsky, e mi sono venuti proprio pensieri simili, su queste cose, su questi tempi in cui emergono i ciarlatani e le persone si affidano ai maghi delle soluzioni facili, medici, psicoterapeuti, omeopati, iridologi e tutto il resto.. quando la crescita richiede soprattutto lavoro, una certa dose di sofferenza e non fermarsi mai, ma che fatica!

arnicamontana ha detto...

cammino verso quest'ultima direzione ma confesso di cadere spesso e qualche volta anche di fermarmi a riprendere respiro...E' faticoso ma doveroso. Un saluto Giorgio

Paola Tassinari ha detto...

Secondo me il segreto sta nel mezzo, cioè nell'equilibrio, perchè anche il non saper gettare...