sabato 8 giugno 2013

andare incontro al paziente

Molti anni fa, quando ero ancora all’inizio della professione, mi telefonò una persona che mi raccontò di essere da poco tempo in cura da uno psicoterapeuta, col quale però le cose non andavano bene.
Mi spiegò che aveva degli attacchi di panico molto forti che gli impedivano fisicamente di andare nello studio del terapeuta e, nonostante le sue richieste, il medico non era disponibile per andare a fare le sedute di psicoterapia presso il suo domicilio.
Mi chiese quindi se io avrei potuto andare a fare le sedute nella sua abitazione. Risposi affermativamente e iniziai ad andare da lui ogni sabato mattina.
Un po' di tempo dopo mi disse che si sentiva pronto per provare a venire con la sua automobile nel mio studio, che distava circa 20 chilometri da casa sua. Io acconsentii e il sabato successivo lo aspettai nel mio studio, sperando di vederlo arrivare.
Poco prima dell’orario concordato, ricevetti invece una sua telefonata nella quale mi disse che era riuscito ad arrivare in automobile fino a un paesino che era circa a metà strada tra casa sua e il mio studio. Mancavano ancora 10 km, ma lui non riusciva né a proseguire verso il mio studio, né a tornare a casa: era bloccato esattamente a metà strada.
Gli dissi di non preoccuparsi, che sarei andato io da lui, e così feci. Lui intanto si era seduto al tavolino di un bar all’aperto. Lì lo raggiunsi, mi sedetti vicino a lui e facemmo la nostra seduta sotto l'ombra di un albero. Dopo un’ora mi disse che se la sentiva di tornare a casa, e così fece.
Il sabato successivo ci riprovò e questa volta arrivò fino al mio studio: ricordo ancora l’atmosfera di festa e di gioia che vivemmo insieme quel giorno!

Questo episodio è rimasto profondamente impresso nella mia memoria, perché questo trovarsi a metà strada, questo fare ciascuno dei due il proprio pezzo di strada per andare incontro all'altro è rimasto per me simbolo ed essenza del lavoro psicoterapeutico.

12 commenti:

Paola Tassinari ha detto...

Come capisco bene quel paziente, la ragione, la mente è lucida ti dice cosa fare, ma il corpo, l'inconscio o cosa diavolo ti fa fare l'opposto, stai male, malissimo, inspiegabile da descrivere eppure continui ad autolesionarti...aspetti qualcuno o qualcosa che arrivi a salvarti o a ucciderti...il più delle volte non arriva nessuno.
Buona domenica.

iriselibellule@gmail.com ha detto...

Molti anni fa una persona della mia famiglia aveva uno psicoterapeuta, ma nessuno di noi lo sapeva. Le cose però dopo un anno di questo rapporto non funzionavano per niente tanto che questa persona aveva maturato degli impulsi violenti,nei confronti di se stessa ma anche del terapeuta, così, un fine settimana in cui questo non era raggiungibile neanche per telefono, e quindi questa persona si sentiva particolarmente abbandonata ai propri mostri interiori, gli chiese di essere ricoverato in un reparto psichiatrico, "Vediamo se lì mi curano" gli disse. Andai a trovarlo ed era completamente rimbecillito dai farmaci. In seguito, all'uscita dall'ospedale , mi offrii di accompagnarlo dal suo terapeuta per parlarci anche io. Mi accorsi che non si comportava come un terapeuta, ma piuttosto comeungiudice o un confessore molto severo, il ragazzo in un anno non aveva ricevuto nessun beneficio, alla fine fu anche brontolato "Vede la sua parente come si apre, come parla liberamente, perché lei non fa così con me?" Tutto detto con tono di forte rimprovero. Al ritorno a casa lo esortai a lasciare questo signore. Lui lo fece ma ebbe un periodo di terrore in cui pensava che una volta fallito il rapporto col terapeuta, la cosa si sarebbe ripetuta sempre uguale. Invece ad un certo punto fu mio marito a riuscire a farlo uscire di casa e accompagnarlo dal signore che aveva aiutato noi, che sbloccò la situazione. Ora questo mio parente mi odia (mi viene da ridere) per molte cose successe dopo che lui mi attribuisce, ma almeno è autonomo e vivo, ha anche molti begli interessi e con gli altri è una persona abbastanza generosa. Meglio che niente. Di quel primo terapeuta ho dimenticato anche il nome, mi pare una tipica rimozione.

iriselibellule@gmail.com ha detto...

Ecco volevo dire che proprio questo tipo non andava incontro al paziente, il mio parente gli aveva chiesto se poteva dargli del tu, il dottore a lui, all'inizio, e il medico aveva detto assolutamente no,c'erano solo regole rigide e niente aperture.

dtdc ha detto...

è una bella storia. Molto bella.
Solo che quando si ha l'agenda piuttosto piena, difficilmente ci si lascia tentare da queste aperture e messe a disposizione tipiche degli inizi della professione, con tutta l'euforia e i rischi che ne discendono.
un saluto, ciao

alessandra ha detto...

bravo! Bravo!
Complimenti!

Anna ha detto...

Questo suo paziente ora è guarito? E fa una vita normale?

Frida ha detto...

...e adesso,dopo una lunga carriera, lo rifarebbe?

Rossland ha detto...

Un bell'inizio: due persone che si incontrano a metà strada, uno per porgere aiuto, l'altro per accoglierlo.
Però mi piace anche la domanda provocatoria di Frida qui sopra: e adesso, lo rifarebbe?
Chissà perché, mi piace pensare che, magari non ogni giorno e certo solo in situazioni molto speciali, sì, lo rifarebbe.
Niente smentite per favore, che ci tengo alle mie percezioni sulle persone...

giorgio giorgi ha detto...

E' vero quello che dice dtdc, che avendo più pazienti è più difficile avere molto tempo a disposizione, però se si accetta di iniziare a lavorare con un paziente bisogna avere un'idea abbastanza verosimile di quanta energia e di quale organizzazione di tempo e di spazio saranno necessari. Se ci si rende conto di non poter garantire ciò, è corretto non iniziare a lavorare con un paziente.
Quanto al gesto in sè di andare incontro al paziente a metà strada, certo che lo rifarei, se lo ritenessi necessario.
Perchè non dovrei? Mi sembra naturale e logico fare ciò che si ritiene necessario fare, sia all'inizio che alla fine della carriera.

giorgio giorgi ha detto...

@anna: Sì, quando ci salutammo per l'ultima volta, il paziente non aveva più le crisi di panico. Prendeva anche l'aereo per motivi di lavoro ed era andato ad abitare da solo.

lookingfor ha detto...

Il tuo modo di vivere la professione dovrebbe essere la norma. Ma ogni persona riesce a dare quello che è innanzitutto, anche se è un terapeuta,e qualità come il saper accogliere senza(pre)giudizio, con disponibilità e apertura non si apprendono, credo. Ci sono o no. Per fortuna tu le hai,ed è bello che ne parli. Fanno un'enorme differenza, e chi sceglie questa professione farebbe bene a esserne consapevole. Ciao!

eSSe ha detto...

Conosco il panico, le crisi di paura. La parola panico non è bellissima e secondo me snatura. La mania di trovare un'etichetta...
Le crisi di paura ci riportano a noi. E lei ha fatto davvero un gesto molto umano prima ancora che professionale a raggiungere a metà strada quella persona impossibilitata. Ci si sente menomati con la paura addosso.
Con stima.