martedì 14 maggio 2013

un ragazzino autistico

La scorsa settimana aspettavo mio figlio all'uscita da scuola, quando ho visto arrivare un ragazzino di 11-12 anni che era per mano ad un educatore, il quale lo ha consegnato al padre, che lo ha accolto con un gran sorriso e con le braccia tese. Il ragazzino ha evitato le braccia del padre ed è andato a piazzarsi immobile di fronte alla rete metallica di un campetto di calcio, in quel momento completamente deserto.
La cosa mi ha colpito e ho guardato meglio il ragazzino. Il suo volto era bellissimo: biondino, ricciolino, un amore. I suoi occhi fissavano un punto vuoto a mezz'aria, verso il cielo oltre la rete. 
E' rimasto così, col corpo immobile e l'aria sperduta, ma determinato a fissare quel punto nel cielo, finché suo padre lo è andato gentilmente a prendere e ha cercato di dargli la mano, cosa che il ragazzino ha rifiutato, pur seguendo il padre verso casa.
Così se ne sono andati via, uno a fianco all'altro, ma senza toccarsi, senza guardarsi e senza parlarsi.

Ho capito che era un ragazzino autistico.
Io non mi sono mai occupato professionalmente dell'autismo, non mi è mai capitato, ma quel ragazzino visto per pochi minuti all'uscita da scuola mi è rimasto dentro nel cuore e man mano che passa il tempo il suo ricordo non sbiadisce.
Premesso che il papà era gentilissimo e dolcissimo, viene da chiedersi: ma cos'è questo autismo, questo stare chiuso in una bolla di sapone, in un mondo tutto tuo da non condividere con nessuno, nemmeno con chi ti vuole bene?
E' una patologia che professionalmente mi attira moltissimo e una sfida difficilissima: riuscire a trovare il modo per comunicare, per instaurare un dialogo, per bucare e fare scoppiare quella bolla di sapone che isola dal mondo degli altri. 

11 commenti:

Renata_ontanoverde ha detto...

Che argomento difficile...

Buona settimana Doc!

olgited ha detto...

E' un grande dramma per i genitori e per gli autistici stessi.Qui da noi c'è un centro importante per i laboratori,dicono che con arte e lavoro migliorano molto.Buona serata dal Friuli.Olga

Paola Tassinari ha detto...

Non conosco l'autismo, però mi affascina... e se in un proprio mondo, con le voci attorno che solo loro ascoltano si stesse meglio che nel nostro mondo?

Cinzia ha detto...

Ogni volta che leggo qualcosa sull'autismo o ne sento parlare, provo una grande angoscia. Penso soprattutto ai genitori di un bambino/ragazzo autistico, a quanto possa essere difficile la loro vita. E penso alle persone stesse, come si sentiranno? chissà come percepiscono il mondo nella loro bolla? davvero non provano emozioni? o non le esprimono come noi? Per noi è una situazione inimmaginabile, credo.
Pur non essendo una terapeuta, sento tutta l'impotenza possibile di fronte al tema dell'autismo.

iriselibellule@gmail.com ha detto...

Io mi metto nei panni della mamma, a volte è difficile essere mamme di ragazzi "normali", non ricevere mai un gesto affettuoso deve essere una sofferenza grande, e forse ad un certo punto ti stanca...

Anonimo ha detto...

Chissà cos'ha passato in una vita precedente? O chissà quale dura lezione è tornato ad apprendere o a far apprendere ai genitori...

lookingfor ha detto...

Mi è capitato, tanto tempo fa, di accudire una bimba semi autistica di cinque anni. Parlava sempre pochissimo, perché lo facesse bisognava insistere, era sempre quasi in trance...Interagiva il minimo, con adulti e coetanei, il più delle volte per piangere o esprimere paure che non si capiva che origini avessero. Alcuni adulti, mi secca ammetterlo ma è la verità, trovavano comodo non doversi troppo occupare di questa bimba così silenziosa e spesso apatica,e non la stimolavano più di tanto( l'ambito era un istituto per minori in attesa di affidamento). A me faceva male questo atteggiamento quasi rinunciatario ma tante volte, pur provando ad avvicinarla di più, non ottenevo risposte se non lunghi sguardi che sembravano ondeggiare nel vuoto... Eppure, di tutti quei bambini, pur sofferenti in modi diversi, lei è quella che mi ha colpito di più, quella che sentivo più forte e indifesa allo stesso tempo, Perché nella sua bolla (forse)tante cose brutte non entravano, ma sicuramente c'era dentro tanto che né lei ne nessuno sapevano fare uscire... Un giorno, dopo tanto che non lavoravo più lì, sono andata a trovare i bambini dell'istituto. Con me avevo portato Susanna, mia figlia di due anni. Appena entrata nella stanza la bimba che così poco mi sembrava essere entrata in contatto con me in quei mesi trascorsi insieme, è stata la prima a ricordarsi il mio nome e l'unica che abbia sottolineato la presenza di Susanna dicendomi: "è la tua bambina, vero?" Sono rimasta colpita, a loro non avevo mai parlato della mia famiglia eppure lei ha colto il legame al primo sguardo. Non so se la sua forma di autismo fosse tale da poter migliorare con il tempo, le cure e gli stimoli giusti, ma quel giorno ho sperato tanto di sì. Credo che farei molta fatica ad accudire una persona autistica,perché è terribile non riuscire a capire come muoversi, come aiutarla. Però credo anche che, pure se non lo mostrano, l'amore di chi li circonda queste persone in qualche modo lo possano sentire. Spero sia così...

lauramentre ha detto...

"Se ti abbraccio non aver paura"
di Fulvio Ervas è il racconto di un viaggio vero di Franco e Andrea, babbo e figlio (autistico).
io li ho incontrati. sono speciali. meraviglia. :)

carmen ha detto...

http://www.eticamente.net/10230/riconosciuta-legalmente-la-correlazione-tra-autismo-e-vaccino-trivalente.html

Rossland ha detto...

Mi hai ricordato un bambino, Marco, al quale anni fa ho fatto da baby-sitter per circa un anno.
Autistico, con serie tendenze all'autolesionismo (quando la sera i genitori lo mettevano a letto, sbatteva ritmicamente la testa sui lati del lettino con le transenne di legno, fino a maciullarsi a sangue i lobri delle orecchie), fu per me un'emozione indimenticabile (ho i brividi ora mentre lo scrivo), il giorno in cui, dopo giorni e forse mesi, all'improvviso mi diede la sua mano mentre facevamo insieme a piedi il tratto di strada fra l'asilo e casa sua. Da lì iniziò, molto molto lentamente, un processo di pseudocomunicazione. Lui non parlava, al più emetteva suoni. Però, un giorno, dopo molti in cui pazientemente ripetevo che se voleva l'acqua poteva mettere una mano sul lavello o toccare un bicchiere, lui toccò il lavello e prese assetato il bicchiere che gli porgevo. Con i genitori (mi ero presa una sonora cotta, lo confesso), stabilimmo che la sera sarei rimasta fin dopo che l'avessero messo a letto. Continuavo a parlargli, come senza parere fossi rivolta a lui, camminando nel coridoio e lasciando la porta delle sua camera aperta (mi era nata l'idea che avesse paura del buio e per questo sbattesse la testa fino a farsi male), cercando di rassicurarlo sulla mia presenza fino a che si addormentava. Ci credi? aveva smesso completamente, alla fine, di maciullarsi le orecchie, che si erano completamente cicatrizzare e ricoperte di morbida nuova pelle.
Mi ero perfino proposta di proseguire ad occuparmene, poi invece ho dovuto cambiare lavoro perché il guadagno non era sufficiente alle mie necessità.
Non puoi immaginare il dolore che provai quando, circa un anno dopo, seppi dalla madre che l'avevano messo in un istituto e che lo andavano a vedere una volta a settimana.
Nemmeno oggi riesco a pensarci senza sentirmi male.
L'autismo è davvero una strana condizione, come se l'essere vivesse davvero avvolto in un bozzolo autoprotettivo al riparo di paure per noi inconcepibili e per loro traumatiche.
Grazie per avermi ricordato questo bambino dolcissimo che ho dovuto abbandonare. (Mi sento in colpa, sì, lo confesso. Pur sapendo che non mi era possibile fare diversamente, so che si era aperto uno spiraglio di comunicazione fra noi e mi sono sempre chiesta come si sarà sentito, quando sono sparita dalla sua vita dopo avermi concesso così tanta fiducia)

giorgio giorgi ha detto...

@rossland: grazie di aver condiviso questo tuo personale racconto che mi ha davvero commosso.