domenica 25 novembre 2012

due modi di relazionarsi con l'altro

Ci sono due modi di relazionarsi con gli altri.
Il primo è fatto di ascolto, di non-identificazione, di non farsi entrare subito dentro le cose che non ci piacciono dell'altro, di non impastarci con la sua psiche.
Questo tipo di rapporto crea uno spazio vuoto tra noi e l'altro che permette una relazione vera, autentica, uno spazio che colma la distanza che c'è tra la fusione e la separazione.
Permette che io non mi senta minacciato o attaccato dall'altro, dalle sue diversità, dalle sue stranezze, dai suoi modi di essere opposti ai miei. Posso rimanere tranquillo, perchè il mio centro è in me stesso, io sono io, e l'altro è l'altro. Da questa posizione posso serenamente considerare le differenze, prendere in esame ciò che vedo nell'altro, riflettere, elaborare i miei sentimenti e decidere di cambiare o meno qualche mia convinzione o atteggiamento.
L'altro modo è quello opposto, che porta a difenderci o ad attaccare l'altro, che avvertiamo come una minaccia per il suo essere quello che è o che ci pare che sia.
Quando non riusciamo proprio a sopportare qualcosa negli altri, ciò significa che non siamo davvero tranquilli su quella cosa; è possibile che l'altro venga a toccare dei punti delicati di noi, relativamente scoperti, impossibili a volte anche solo da sfiorare senza farci male; a volte sono ferite ancora aperte, non rimarginate completamente.

7 commenti:

alessandra ha detto...

Farò leggere questo post ad un mio caro amico perchè si renda conto che il modo d'essere altrui è da rispettare ed accettare e che non possiamo pretendere che gli altri si comportino secondo un nostro canone personale, consapevoli che ognuno possiede un suo bagaglio esistenziale molto personale. Non c'è maturità nel rapportarci con gli altri sempre sulla difensiva,in questo modo ci sfuggirebbe il nostro vero centro, la nostra essenza di persone capaci di lasciare spazio all'intelligenza delle emozioni.

Paola Tassinari ha detto...

Io a questa "cosa psicologica" che ci sta antipatico l'altro perchè vi riconosciamo nostri atteggiamenti che non ci piacciono, non l'ho mai capita... di solito mi attraggono tutti, quelli che sento affini a me, quelli diversi da me perchè penso a mondi sconosciuti...non sopporto l'iroso,il maleducato, il prepotente, ma io non ho queste "doti" sono famosa perchè dico grazie anche a chi mi pesta i piedi.

lookingfor ha detto...

Io invece mi ritrovo molto in quanto espresso: da sempre sfuggo le persone troppo determinate e aggressive, quelle che anche senza magari rendersene pienamente conto pur di primeggiare mettono in ombra (nei casi peggiori feriscono)il prossimo.
La mia è una consapevolezza tardiva, ma è vero: le sfuggo perché ho il terrore di scoprirmi
uguale a loro; dentro di me esiste da sempre una simile aggressività, che la mia parte razionale non accetta, non ama,non vorrebbe mai le appartenesse,eppure sa bene di non poter nascondere o tacere per
sempre. Non mi ritengo una persona malvagia,al contrario, ma quell'ombra di prepotenza che cova sotto una facciata di mitezza mi spaventa,anche se so perfettamente che guardarla in faccia senza sentirmi un mostro e trovare un canale in cui farla emergere in modo positivo, potrebbe essere di gran lunga meglio che negarla come ho fatto sinora.Solo che non è facile, come quasi tutto quello che è necessario e utile:-)

Un saluto



ilcuorecomeilmare ha detto...

L'ascolto dell'altro è il primo passo per capire con chi ho a che fare. Il seguito, qualunque esso sia, verrà dopo un po' di tempo.

Anonimo ha detto...

sono un animale, d'istinto mi allontano o mi avvicino agli altri a seconda di ciò che "sento" scorrere dentro di loro. Non mi sono mai sbagliata...
michiamodame

Roberto Maestri ha detto...

La relazione, il confronto con l'altro da me presuppone, nel primo caso citato da Giorgio, un atteggiamento empatico, dove io com-prendo il sentimento di chi mi sta di fronte senza identificarmi con esso. Solo in questo modo entro nel suo mondo senza confondrmi nel suo sentire sentendo a mia volta, e accettando, se ilmio è autentico ascolto, anche ciò che non condivido. Ma per compiere questo ulteriore passo di comprensione è necessaria anche una sospensione del giudizio, uno spogliarsi dai pregiudizi che altrimenti potrebbero inficiare la possibilità di un incontro autentico e fondato su un piano di parità.

Emanuela ha detto...

Il non -identificarsi trovo andrebbe applicato anche nel rapporto genitori-figli, specialmente quando arriva l'adolescenza. Aiuta a mantenere la lucidità, a considerare il figlio come un'altra identità da noi, a sforzarsi di rispettare e comprendere il suo essere che può risultare diverso dal nostro (e sicuramente lo sarà). Non è facile, ma aiuta ...