giovedì 7 giugno 2012

alla bassa modenese, con affetto

Erano i primi anni '60, l'Italia era in pieno boom economico. Io ero un ragazzino nato e cresciuto in città e tutti gli anni in estate andavo qualche settimana coi nonni nella bassa modenese, dove abitavano i miei parenti. Mia nonna aveva avuto in eredità dai genitori una vecchia casa di campagna assieme a tre sorelle dai nomi oggi piuttosto desueti: Angiolina, Severina e Carolina, che abitavano tra Medolla, San Felice e Finale Emilia.
Alla stazione piccola di Modena prendevamo il trenino formato da due vecchie carrozze che in un'ora percorreva traballando 30 km, attraversando un paesaggio fatto di campi coltivati, filari di pioppi, piccoli canali e case sparse. La bassa era veramente bassa; tutto era basso: la terra, faticosa da coltivare e anche le case rurali, quasi tutte ad un piano.
La casa di mia nonna era a Rivara, una piccola frazione a tre km da San Felice, dove c'era la stazione e dove noi scendevamo dal treno: da lì, con le valigie in mano, dopo la partenza del treno, percorrevamo a piedi i binari deserti sotto il sole bollente di luglio.
A Rivara non c'era niente: solo la chiesa, quattro case e la bottega, dove chi non aveva soldi comprava gli alimentari segnando l'importo sul libretto, per pagare poi a fine mese o quando poteva. L'unico svago era l'8 settembre, quando c'era la sagra di paese e alla sera, vicino alla chiesa, c'era qualche bancarella e si facevano i fuochi artificiali. Per il resto, silenzio, caldo, grilli, mosche e zanzare.
Vicino alla casa c'era il macero, una pozza d'acqua dove si lavorava, con grande fatica, la canapa. Di giorno si stava seduti a chiacchierare nell'aia, proteggendosi dalla canicola sotto l'ombra di una quercia, mentre verso sera la morsa del caldo si allentava e iniziavano a comparire sciami di zanzare, per difendersi dalle quali c'era il flit, un repellente a base di DDT, che ancora non si sapeva essere cancerogeno.
Dopo cena ci si trovava a casa di una zia, dove le figlie lavoravano a cottimo con le macchine da maglieria, mentre in sottofondo una vecchia radio a valvole suonava ogni genere di musica che nessuno ascoltava. I grandi chiacchieravano tra loro, mentre noi bambini giocavamo e ridevamo.
Ricordo un cugino, di quattro anni più vecchio di me, che per impressionarmi e rimarcare la sua superiorità, a volte si sdraiava per terra e beveva tutto d'un fiato una bottiglia intera di latte appena munto, mentre altre volte mangiava grani di pepe nero masticandoli come fossero noccioline. Per me, bambino di città, era davvero troppo, dovevo riconoscerlo: non potevo competere con lui.
Nel pollaio c'erano le galline (e a noi bambini era concesso ogni giorno a turno di salire la scaletta di legno e andare a levare le uova), nella stalla c'erano le mucche e nel cius (il chiuso) c'era il maiale, che veniva ucciso a gennaio col rito della pcarìa.
Mia zia Angiolina aveva un angolo tutto suo di cui andava orgogliosa: il suo piccolo giardino, dove mia nonna passava ore con lei ad apprezzare la bellezza delle rose e di tutti gli altri fiori.
L'acqua si prendeva dal pozzo, calando il vecchio secchio di legno con la carrucola: un luccio che nuotava dentro all'acqua ne garantiva la limpidezza e la potabilità.
Fuori dalla casa c'era ancora, anche se ormai in disuso, il vecchio bugigattolo che fino a pochi anni prima serviva per espletare i bisogni corporali.
Dietro alla casa c'erano i campi, con le carrate, lungo le quali correvano i filari d'uva, che andavo a spizzicare goloso.
Mio nonno mi faceva quasi tutti giorni uno zabaione con le uova fresche e lo zucchero; a volte aggiungeva un po' di marsala, ma di nascosto dalla nonna che non voleva.

La bassa era una zona depressa e furono dati incentivi fiscali a chi investiva in quell'area. Così, a partire dagli anni '70 la bassa ha cominciato a cambiare; ricordo quando a San Felice si insediò la prima fabbrica che lavorava la frutta, poi una azienda che produceva cartone ondulato. Nel giro di pochi anni si costituì un polo di aziende ceramiche a Finale, poi il biomedicale a Mirandola. Si cominciarono a costruire case nuove che trovarono presto compratori allettati dai prezzi relativamente bassi. Nel frattempo l'agricoltura diventava sempre meno interessante dal punto di vista economico. La geografia umana ed economica si trasformava, come si trasformava la società.

Oggi, che l'enorme palla da bowling del terremoto ha fatto strike, distruggendo con precisione chirurgica tutti i centri più importanti della bassa modenese, il mio pensiero ritorna all'origine, ai miei parenti degli anni '60, contadini forti ed onesti, lavoratori seri e instancabili, e mi dà la certezza che la popolazione della bassa ha nel suo dna le risorse cui attingere per rinascere e per superare questa grande tragedia. 

7 commenti:

zefirina ha detto...

Bel racconto rende bene l'atmosfera

Unknown ha detto...

Che bello, si ha l'impressione di essere lì con te bambino, si ha l'impressione di vedere questa terra crescere e poi improvvisamente, l'impensabile...tutto finisce! Sono sicura che gente come la tua ce la farà, come dici tu l'avete nel DNA la forza per farcela, speriamo solo che finisca e che possiate ricominciare! Un abbraccio, Antonella

Paola Tassinari ha detto...

...ce la faranno, a volte penso che i tempi duri assorbano tutte le energie peggiori e lasciano libere solo le migliori, coi tempi grassi ci si ingrassa anche anche di mal di vivere... un pensiero vivido per tutti i modenesi.

Sandra M. ha detto...

Molte di queste immagini mi appartengono. Mio babbo era nato a San Lorenzo della Pioppa,frazine di san Propspero, a metà strada tra Modena e Mirandola....molti parenti erano della Bassa.
E risento odori e suoni.
Sottoscrivo le tue parole di affetto.

L'apprendista ha detto...

Che meraviglia queste tue impressioni dalla fanciullezza passata in questa regione. E che meraviglia il mediterranismo: i miei ricordi di estati passate in un paesino contadino di una regione catalana più o meno nella stessa epoca sono molto simili. Speriamo che sappiano tirar fuori il meglio di se stessi per andare avanti. Un abbraccio.

nellabrezza ha detto...

che belle storie !!! ...e quelle ore passate ad ammirare, nel giardino, la fioritura delle rose...e quel tempo calmo, quei paesini in cui non c'era nulla da fare eppure non ci si annoiava..bellissimo pezzo. tutto ambientato in questi paesi che oggi ci ripetono in tv, per altre vicende, più tristi. ma siamo con voi, ed abbiamo fiducia in voi!

Ivana ha detto...

Davvero un bel racconto" d'altri tempi" , si respira la vita di campagna , all'aria aperta, lo stare insieme ,grandi e piccoli ,il riunirsi in compagnia alla sera . Questo adesso manca . Un abbraccio .