mercoledì 23 maggio 2012

la domanda di senso

Che senso ha la mia vita? In cosa consiste il senso della mia vita?
Questa domanda, espressa o inespressa, mi ha sempre accompagnato dall'adolescenza in poi, ma qualche volta si è affacciata anche alla mia mente bambina.
Se all'inizio era centrata esclusivamente sulla mia esistenza, sul cercare di arrivare a conoscere la mia vera essenza, a un certo punto la domanda non ha potuto non tenere conto anche della società, del mondo in cui vivevo, perchè comunque ero consapevole che la mia autenticità si doveva poi realizzare nella relazione con gli altri, nel contesto sociale.
Nè, d'altra parte, si può immaginare una risposta valida per sempre, in assoluto, giacchè il fatto che siamo vivi comporta un continuo cambiamento nel modo di vedere e di sentire le cose della vita.
C'è quindi una interrogativo personale (chi sono io?) e una dimensione relazionale (come mi comporto nelle relazioni con gli altri e col mondo?) che si intrecciano continuamente.

Non porsi questi interrogativi, rinunciare ad ascoltarsi e a cercare la propria verità, significa estraniarsi da sè stessi, vivere facendosi dirigere da ciò che pensano gli altri, col rischio di conformarsi ai comportamenti della maggioranza oppure di cadere nel nichilismo o nel ribellismo che non progetta, non propone e non costruisce.
Se la vicinanza affettiva degli altri si percepisce sulla base dei sentimenti di amore e di amicizia, il calore che noi ci possiamo dare passa attraverso la continua ricerca del senso attuale, vero e autentico, della nostra vita. Nel percepirsi come individui che stanno autenticamente cercando il proprio senso sta la consolazione rispetto agli insuccessi, la sicurezza della propria identità indipendentemente dai risultati ottenuti; su ciò si fonda l'affetto per noi stessi che non dipende dalla quantità di frutti che raccogliamo, ma che si basa sulla consapevolezza del nostro esserci, delle cose in cui crediamo e dell'impegno che mettiamo nel cercare di realizzarle.



14 commenti:

dtdc ha detto...

Caro Giorgio, come posso provare affetto verso me stesso se non raccolgo frutti, se essi, pochi, non piacciono agli altri, se il mondo non li vuole, se effettivamente non servono a nessuno?
Basta pensare: "ci sono", "ci credo", "mi impegno" "ci metto passione"? non credi che vivrei in un'illusione un pò narcisistica e che alimenterei un'identità e un'autostima autoreferenziali?
Secondo me ci vuole, prima o poi, qualcuno che ci aiuti a tirare le somme e a farci capire se siamo sulla strada giusta, nonostante la passione...una doccia fresca, non troppo fredda, che ci svegli un pò.
A metà strada (mi dò un altro pò di tempo....) dovrei aver trovato un mio senso, no? Dovrei aver sviluppato un'identità supportata dai miei obiettivi raggiunti.
C'è un momento, secondo te, per tirare le somme, in modo che non si inneschi un'autoconsolazione "a vita"?
ps: è un post, questo, che mi fa pensare, tanto, ma veramente tanto.
grazie
ciao!

giorgio giorgi ha detto...

@bruno dtdc: bellissimo commento. Per parafrasarti, è un commento che mi fa pensare veramente tanto e credo che sarebbe bello trovarsi e parlarne insieme a lungo. Non ti rispondo nel merito subito, perchè vorrei lasciare campo libero ad altri eventuali commentatori, ma tengo il tuo commento con me e ti risponderò.

Paola Tassinari ha detto...

Proprio stamattina stavo pensando a Nietzsche e alla teoria della volontà, possibile che questo sia il senso della vita? Dio è morto e non ci sostiene più può la volontà sostituirlo?
Il senso della mia vita è stato mio figlio, il bisogno che lui aveva di me, ma ora lui è grande ed io non ho più punti fermi.
Allora mi interrogo sovente sul senso della vita, come mi accadeva nell'adolescenza e sono arrivata a dirmi che ciò porta al nichilismo perchè un vero senso non ci sta...o almeno non l'ho ancora trovato.

TeZ ha detto...

A Bruno, che parla di obiettivi e di risultati, vorrei chiedere: cosa intendi con queste due parole?
Io faccio fatica ad applicarle ad un percorso esistenziale che guardi e parta dall'anima e dall'identità, ma potrei non aver capito il senso e la direzione presa dal discorso di Bruno: ecco perché gli chiederei di spiegare meglio cosa intende con obiettivi e risultati.
Dal mio punto di vista c'è un solo modo di intendere obiettivi e risultati su di un piano strettamente interiore: per me coincide con il portarmi in salvo per come sono, sufficientemente integra dentro, autentica cioè, sia pure arricchita in esperienza, nel bene e nel male che quest'ultima riserva (e qui, sottolineo, non trascuro affatto la parte di esperienza "nel male").
Mi rendo conto che sto parlando di obiettivi e risultati invisibili ai più, ma fin troppo importanti e impegnativi e, infine, tutt'altro che ininfluenti sulla nostra vita di relazione.
Ecco, mi fermo qui, preferisco aspettare delucidazioni, così scoprirò se non ho capito un accidente o, peggio, se sono andata spaventosamente fuori tema!!!
;-P

dtdc ha detto...

Tereza, certamente se non raggiungo sufficientemente (mi piace molto questo avverbio) obiettivi interiori di consapevolezza, integrazione e amore per me stesso non posso raggiungere obiettivi "esteriori" e relazionali che mi completino come persona e che siano utili agli altri. Altrimenti è autocontemplazione.
Questi obiettivi "esteriori" sono tangibili, visibili, mi fanno contattare l'altro e creano qualcosa di utile e di condiviso. Partono, sempre e comunque, da dentro. Siamo d'accordo, credo. ciao

zefirina ha detto...

conosci te stesso, non era già un'esortazione/motto dell'oracolo di Delfi??? evidentemente è un sentire talmente innato nell'uomo che rimane attuale in ogni epoca, quale è il mio posto in questo mondo, e che senso può avere la mia vita credo di averlo scoperto, però non mi piace fare bilanci.

zefirina ha detto...

p.s. bruno non credo di essermi mai data dei grandi obiettivi forse per mettermi al riparo da grandi frustrazioni e così ora sono abbastanza contenta di cosa sono diventata e della mia vita, anche perchè certi "accadimenti" sono avvenuti indipendemente dalla mia volontà, ora il mio unico obiettivo è di vivermi quel che resta del tempo in modo tarnquillo e sereno

giorgio giorgi ha detto...

@bruno: condivido ciò che dice Tereza. Il narcisismo non si trova, a mio avviso, nella ricerca di contatto con la propria anima, ma nella infantile ipervalutazione compensatoria di ciò che si ritiene costituire sè stessi nella relazione con gli altri. Il narcisista pretende che gli altri lo capiscano, gli diano retta, lo riconoscano, anche quando agli altri oggettivamente non gliene importa un fico secco di lui. La salute mentale sta nel riconoscere le differenze e la realtà dell'altro, bella o brutta che sia per i nostri fini. Una cosa è la nostra anima (o sè, o totalità) e il nostro dialogo con essa, altra cosa è l'apprezzamento che gli altri hanno di noi.

alessandra ha detto...

Ieri avevo fatto leggere a mio figlio ventenne ed in crisi sul senso della vita, il tuo post ed il commento di Bruno nel quale si è riconosciuto. Sperava in una tua risposta in merito che unita agli altri interessantissimi commenti, credo gli sia molto d'aiuto, anche perchè oggi li rileggeremo assieme e ne parleremo, uno per uno.
Ieri ero in treno e per quattro ore ho riflettuto sul senso della vita.
Ho concluso che mi è difficile pensare ad un "non senso", ho tanti sensi, l'amore per primo, l'espressione artistica e potrei andare avanti. Quindi quasi non esiste per me il problema, ma esiste in mio figlio ed in tantissime persone di tutti i tempi.

dtdc ha detto...

caro Giorgio, anch'io condivido ciò che dice Teresa, e l'ho anche scritto che credo siamo d'accordo. Quando parlavo di "illusione un pò narcisistica" pensavo alle tante persone che, con l'alibi di non aver conosciuto bene, fino in fondo se stesse, spinte magari da un collusivo conoscitore delle anime che li convince di non conoscersi affatto, non agiscono nel sociale, nel mondo, nelle relazioni, evitano di darsi obiettivi e passano il tempo a contemplare la propria anima, se così possiamo chiamarla. Lo so che il narcisismo è un'altra cosa, figurati, l'illusione un pò narcisistica, e non faccio riferimento alla nosografia psichiatrica, credo sia quella di chi insegue un ideale di perfezione psichica, di completa trasparenza e accettazione di sè, di completa integrazione (mai possibile, secondo me), di guardarsi continuamente in uno specchio, anche uno specchio "spirituale", evitando di prendere posizione, di agire, di porsi obiettivi, di valutare i propri obiettivi, di far valutare da bravi valutatori i propri obiettivi, di costruire qualcosa di utile per gli altri. Dialogano costantemente con la propria anima e poco con gli altri.
scusami Giorgio potresti spiegarmi meglio questo concetto che mi sfugge:"infantile ipervalutazione compensatoria di ciò che si ritiene costituire sè stessi nella relazione con gli altri". Se ho capito bene vuoi dire che chi si dà molto nella relazione, sinceramente, gratuitamente, cercando di trovare riscontri emotivi al proprio investimento nella relazione, nel contatto, nella comunicazione, accrescendo la propria autostima anche sulla base delle risposte, dell'approvazione degli altri, del riconoscimento del merito, si ipervaluti compensando un debole senso di Sè, una debole conoscenza di sè?
Siamo messi male noi blogger, allora....;-)
ciao, grazie, buona giornata

giorgio giorgi ha detto...

@bruno: no. Intendevo dire più o meno ciò che hai detto tu: che alcuni, putroppo, considerano solo sè stessi e i propri desideri e non prendono atto di come sono fatti gli altri, ipervalutando i propri bisogni. Questa è una compensazione, perchè dietro ci sta una scarsa considerazione di sè che li porta a cercare sempre il riconoscimento e la valorizzazione degli altri (narcisismo).
In generale, comunque, la conoscenza vera della propria anima corrisponde ad una pacificazione e ad una apertura al mondo, non a una chiusura, perchè l'anima ha voglia naturalmente di relazioni e di conoscenza del nuovo.

dtdc ha detto...

ok, d'accordo. Buona giornata Giorgio e grazie!

Renata_ontanoverde ha detto...

Penso che la vita sia una tela che ci si presenta ogni giorno bianca, possiamo ripetere, migliorandone sempre di più i tratti, trovare nuove nuances di colore, creare emozioni nuove, ma sta tutto in noi stessi a saper evolversi ed a trovare la dimensione che ci dia la sensazione di far parte del grande quadro della "vita" e comprenderne il perché.
La ricerca, l'evoluzione non si fermano mai. Spesso si rimane stupiti di quanto si sia cambiati, di quanto sia stato possibile trovare nuovi traguardi.

TeZ ha detto...

Sono troppo tentata dal reintervenire sull'argomento: scusatemi dunque se vi infliggerò un altro fiumicello di parole.
Nell'intervento precedente avevo "contestato" il concetto di obiettivi e risultati da perseguire, poiché mi pareva che Bruno avesse fatto coincidire un po' troppo queste fattispecie con una sorta di "gradimento" da parte del pubblico, (intendendo per pubblico tutti gli altri, tutti quelli con cui cioé ci relazioniamo).
Mi era parso quasi che Bruno vedesse nel raggiungimento di un adeguato "share" relazionale il fine principe di ciascun individuo.
Ora, non so se io pecco di eccessivo narcisismo o autostima, (ché poi è la stessa cosa, sotto certi aspetti almeno), ma non sarebbe il caso di cominciare ad adeguarsi con tranquillità all'idea che non si può essere sempre simpatici a tutti?
Capisco la scivolosità del mio argomentare e la possibile caduta in equivoci abbastanza fastidiosi, ma a me sembra sufficiente amare ed essere amati, (e di conseguenza apprezzati e compresi), da quelli che più ci attraggono.
Badate bene, il mio non è un invito all'isolamento e/o alla creazione di un piccolo mondo per eletti, mai sia! solo credo che dovremmo sì cercare di tessere il maggior numero di relazioni positive possibili con il resto del mondo, ma non con l'intento di auto-promuoverci come fossimo un prodotto da vetrina.
L'autenticità e l'integrità di cui parlavo nel precedente intervento si portano in salvo proprio così: offrendo nella relazione il meglio ed il "particolare" di ciascuno, ma senza svendersi o adottare eccessive e stranianti misure di "adattamento commerciale", che snaturino la nostra personalità più vera.
Perché ognuno di noi è un essere speciale, irripetibile e particolare, e, pertanto, in virtù di quest'assoluta specificità, deve saper fronteggiare la possibilità di non essere capito e amato da tutti, senza che ciò generi conflitti disastrosi o guerre ideologiche.
Chiudo con un piccolo aneddoto: quando andavo a scuola c'era sempre il/la simpaticone di turno e non era necessariamente quello/a che faceva le migliori battute; spesso si trattava di persone che davano ragione a chiunque e delle quali non arrivavi mai a capire la vera opinione su nulla. Ecco, a me quelli e quelle non sono mai piaciuti e spesso li ho compatiti, perché mi veniva da pensare che non contraddicevano mai nessuno pur di essere benvoluti da tutti...ma la benevolenza non potrà mai essere amore, tuttalpiù condiscendenza, sopportazione...
Bene, sperando di non essere fraintesa saluto tutti.