venerdì 27 aprile 2012

libertà è partecipazione

Trovare una sala per fare un incontro pubblico non è difficile, ma nemmeno facilissimo.
Ho scartato subito le sedi comunali e quelle delle circoscrizioni, che vengono riservate solo ad alcune associazioni, poi ho scartato le librerie del centro, che hanno sale piccolissime e le utilizzano solo per promuovere libri.
Avevo trovato una bella sala in centro storico, in un antico palazzo di fronte al Palazzo Ducale, ma dopo innumerevoli telefonate a vuoto, ci ho rinunciato.
Poi l'imbeccata giusta datami da un'amico: perchè non provi al Centro Sociale Buon Pastore? Hanno una sala grande e rinnovata da poco.
Così, alle undici di un caldo mattino di fine marzo, mi sono recato nel luogo indicatomi.
E' in periferia, lontano dalle case e comodo da raggiungere con l'auto, ed è sede di un comitato anziani; il suo nome completo è: Centro Sociale Anziani e Orti, che detto così forse fa un po' ridere, ma quando sei lì non ridi più, al massimo ti stupisci di quello che vedi.
La sala è a piano terra, molto grande, ci stanno comode duecento persone. Quando sono arrivato io la sala era quasi piena, stava volgendo al termine un'assemblea degli iscritti (dai 60 anni in su), che stavano rinnovando le cariche sociali. Ho assistito ad alcuni interventi al microfono, pacati ma molto sentiti, che trattavano il problema degli orari di chiusura dei cancelli degli orti e del relativo affidamento delle chiavi.
Perchè, di fianco all'edificio che ospita la sala, ci sono gli orti per gli anziani. Orti veri, coltivati rigorosamente dagli assegnatari, orti che mi hanno fatto venire in mente quelli dell'Alto Adige, per il loro ordine e la loro pulizia.
E nella sala, persone che discutevano, che si scambiavano idee e pareri, interessati e coinvolti. Mi sembrava di essere tornato ai tempi delle assemblee studentesche, per quel tasso di partecipazione e di coinvolgimento che dava spessore e densità all'aria della sala.
Sono rimasto qualche minuto lì, a bocca aperta, incapace di muovermi, a guardare stupito tante persone seriamente interessate a ciò di cui stavano discutendo.
Poi ho cercato e trovato il presidente (Prodi diceva sorridendo che se in Emilia mentre cammini per strada gridi: Presidente!, metà dei passanti si girano verso di te).
Il presidente mi ha accompagnato nel suo ufficio, io gli ho spiegato cosa volevamo fare nella sua sala, lui mi ha domandato se all'iniziativa avrebbero potuto partecipare anche gli iscritti al centro sociale. Avuta la risposta affermativa, ha detto che sarebbe stato contento di darci la sala.
Trovate le date libere, pattuito un onesto compenso (che penso andrà a migliorare la qualità dei lavori e dei prodotti degli orti), abbiamo concluso l'accordo, come si usava una volta, con una stretta di mano, niente caparre, nè accordi scritti.
Sono uscito e mi sono fermato a guardare gli orti, e ho pensato che era proprio una bella accoppiata Anziani e orti, la vecchiaia e la nascita insieme.
Quale posto più simbolicamente azzeccato di questo avrei potuto trovare per la presentazione della nostra iniziativa sui gruppi?
Un posto senza pretese, naturale, dove nascono ogni giorno cose nuove, e che inoltre è così genuinamente assembleare...
Altrochè sale eleganti, ma impersonali e asettiche, di alberghi a quattro stelle...

domenica 22 aprile 2012

come è nata questa iniziativa

Il desiderio di fare dei gruppi l'ho covato dentro di me per almeno due anni.
Ogni tanto ne parlavo con qualche amico o ne accennavo a qualche collega, ma non è mai nato nulla, perchè era ancora presto.
Poi, in autunno, mentre a teatro ascoltavo il violoncellista Mario Brunello spiegare  con parole semplici e con tanta passione cose difficilissime relative alla musica di Bach, ho avuto un'intuizione: devo fare così anch'io, rivolgermi con semplicità alle persone per proporre un tipo di relazione che non è facile sperimentare.
Ho comunicato questa idea a una mia amica-collega che immediatamente mi ha detto: è tanto che anch'io vorrei fare una cosa del genere.
Così per alcuni mesi, ogni settimana, ci siamo incontrati per lavorare insieme allo sviluppo di questo progetto.
Nel frattempo sono tornato a teatro a sentire un trio che suonava splendidamente musica classica e mentre ascoltavo il gruppo suonare armonicamente, ho visto con l'immaginazione un incontro del gruppo che avevo in mente e le mie certezze sono cresciute: ho pensato che il gruppo avrebbe dovuto stare insieme come questi: divertendosi, sorridendo, andando a tempo, facendo qualcosa insieme, collaborando col piacere di farlo, affrontando anche le eventuali difficoltà.
Poi un giorno, camminando per strada, mi sono trovato davanti ad un espositore sul quale c'era un libro dal titolo Ogni uomo è una poesia e sono stato colpito da questa frase.
E' vero, ho pensato, ogni uomo è una poesia, ogni membro del gruppo è una poesia, che va ascoltata, rispettata e valorizzata, di modo che possa arricchire tutti gli altri.
Morale: quando i tempi non sono maturi, le cose non nascono.
Non si può pretendere che le gravidanze durino meno di nove mesi e non ha senso cercare scorciatoie. Ma quando il tempo è davvero compiuto, allora le cose si realizzano con una inaspettata semplicità e anche il mondo ci viene incontro, perchè siamo veramente pronti. E quello che facciamo, non lo facciamo per ottenere dei frutti, ma perchè ha senso per noi il farlo, perchè qualcosa ci dice che dobbiamo fare quella cosa, ed è un devi che nasce da dentro e non ci sono più dubbi.
E' un fare che porta già in sè i suoi frutti, e se qualcuno vorrà condividere con noi il progetto si andrà avanti, altrimenti la cosa finirà lì, sarà stato semplicemente un avere lavorato sulla relazione e sullo stare in gruppo, col pensiero, col sentimento, con l'intuizione e con l'immaginazione, con la precisa sensazione di essersi arricchiti comunque.
Perchè ogni arricchimento personale è sempre il frutto di un nostro lavoro, di un nostro impegno che mira ad una conoscenza più approfondita di noi stessi e alla realizzazione nel mondo di ciò che autenticamente abbiamo scoperto di essere.

martedì 17 aprile 2012

la comunicazione autentica nelle relazioni


                                                             
In un precedente post avevo raccontato il progetto di costituire un gruppo (o più gruppi) dove si potesse sperimentare concretamente la libertà di esprimersi in modo autentico, arricchendosi dei contributi portati dagli altri partecipanti, in una atmosfera di rispetto reciproco.
Questa iniziativa sta procedendo ed è ormai vicino il giorno della sua presentazione pubblica.
Da alcuni mesi, una amica-collega ed io abbiamo lavorato insieme, mettendo in comune e confrontando le nostre idee e i nostri sentimenti sul tema, facendo tra noi lo stesso tipo di lavoro che immaginiamo di proporre al gruppo.
Così facendo, siamo giunti ad una chiarificazione sempre maggiore dei nostri pensieri e abbiamo raggiunto una sempre maggiore consapevolezza di ciò che tra noi era realmente condiviso e di ciò che ci distingueva.

La relazione è diventata il vero oggetto del nostro lavoro, unitamente all'importanza del prendersi cura della relazione, oltre chè di sè stessi e dell'altro.
Abbiamo sempre lavorato cercando la verità, anche se questa avrebbe potuto consistere nella fine del nostro progetto e nel naufragio dell'iniziativa: non ci sono mai stati nè pregiudizi nè certezze definitive, solo la volontà di creare qualcosa di vero e autentico.
E anche adesso che ci stiamo preparando all'incontro pubblico di presentazione, desideriamo realizzare qualcosa che sia autentico, cioè che abbia senso per noi e magari anche per qualcun altro.

Chi fosse eventualmente interessato a conoscere i contenuti del nostro progetto, potrà venire sabato 5 maggio 2012 alle ore 17 a Modena, presso il Centro Sociale Buon Pastore in via Panni, 202 (di fronte all'Istituto Charitas).

Nei prossimi post vi racconterò dell'importanza che la musica classica e la poesia hanno avuto nella gestazione di questa iniziativa e di come siamo arrivati a scegliere proprio questa sede particolare per la presentazione.

giovedì 12 aprile 2012

cose semplici e profonde

Ringrazio i commentatori del post precedente che hanno mostrato di apprezzarne il contenuto: quello della morte e rinascita è un tema per me fondamentale e mi fa piacere che in tanti ci si siano ritrovati.
Uno in particolare ha scritto:"Come fai a dire cose così profonde in un linguaggio così semplice e comprensibile?"; questo commento merita, a mio parere, un approfondimento.

Io credo che le tematiche profonde siano semplici, perchè riguardano le esperienze essenziali che sperimentiamo tutti noi, in quanto esseri umani. Quando si parla o si scrive su questi argomenti è possibile farlo usando linguaggi diversi. Si possono usare termini tecnici e fare citazioni dotte richiamando o confrontando teorie diverse e non trovo nulla di male in questo. Personalmente però apprezzo di più i discorsi e gli scritti che parlano, oltre che alla nostra parte cognitiva e razionale, anche alla nostra parte affettiva ed emotiva.
Mi sembra  che l'essenza della vita sia fondamentalmente relazione, un insieme di ragione e sentimento dove quest'ultimo occupa un posto speciale. Le relazioni sono materia viva, pulsante che si fonda soprattutto sulle nostre esperienze quotidiane e sugli stati d'animo che ci attraversano, che, anche se complessi, possono essere descritti con molta semplicità.
Le parti più vere della nostra individualità ci portano spesso ad una adesione affettiva immediata agli stimoli che le rappresentano: dove ci sentiamo per natura attratti emotivamente, lì c'è qualcosa che ci riguarda profondamente. Possono essere anche stimoli problematici o negativi, che ci risvegliano ferite aperte o problemi non risolti, ma pure quelli, se ci attirano, ci riguardano direttamente.
Su questi argomenti, io non sono capace di parlare alla sola parte razionale delle persone, anche se apprezzo chi lo fa e ci riesce. E' cercare di arrivare alla umanità, alla totalità di ogni persona, che mi interessa e mi piace, e per farlo credo sia importante usare un linguaggio il più possibile semplice, cercando di rispettare sempre le individualità altrui, come se si deponesse a terra a metà strada tra sè e l'interlocutore ciò che si dice o si scrive, lasciando l'altro totalmente libero di raccoglierlo per elaborarlo oppure di rifiutarlo, se non gli interessa.
Mi sembra che spesso i tecnicismi e le complessità del linguaggio siano un modo per esprimere la propria superiorità intellettuale e a volte rappresentino un esercizio di potere, mentre altre volte aiutino a nascondere una mancanza di chiarezza e creatività.
Mi viene da pensare a quando a scuola ero alle prese coi temi di italiano e, come tanti miei compagni di classe, allungavo il brodo perchè mi sembrava di non avere tante cose da dire: nessuno ci aveva ancora insegnato che la semplicità e l'essenzialità sono qualità comunicative  umane fondamentali.

sabato 7 aprile 2012

morte e rinascita

Paul Gauguin: Autoritratto col Cristo giallo
L'immagine di Gesù crocifisso ci presenta un essere umano appeso a una croce. Non può muoversi, non può fare nulla, può solo soffrire. Viene abbandonato anche dal Padre, che non risponde al suo grido di dolore. Credo che molti di noi si siano sentiti qualche volta nella vita in una situazione simile a questa: non si può fare niente, si è bloccati, inchiodati alla propria sofferenza. Si può solo morire, ma dopo, si può rinascere?
Io credo che molte volte la risposta possa essere sì, a patto che si comprenda che quella morte non è la fine definitiva di sè stessi, ma di quel modo di essere che ci ha portato in quella situazione senza via d'uscita. Se si riesce a relativizzare la morte, allora può essere possibile immaginare che, se riusciremo a cambiare qualcosa del nostro essere o agire che ci ha portato in quel vicolo cieco, la rinascita sarà possibile, anche se faticosa e lenta.
Mi ha sempre colpito constatare che spesso chi ha paura della morte ha anche paura della vita, mentre chi vive la vita senza troppa paura di affrontare dei cambiamenti, anche importanti, è talmente impegnato nel cercare di superare le piccole morti quotidiane modificando il proprio modo di stare al mondo, che alla morte definitiva e ultima non ha nemmeno tempo nè voglia di pensare, come se fosse una perdita di tempo e di energie inutile.

Spesso sono gli altri che ci mettono in croce, ma non è mai un problema così grave come quando in croce ci mettiamo noi stessi e questo può accadere quando ci dimentichiamo completamente di ciò che siamo veramente, quando smettiamo di pensare che ciò che siamo nella nostra totalità è comunque un valore e ha senso in sè e per sè.
Noi siamo il nostro corpo, la nostra mente, il nostro spirito, i nostri valori, ciò che immaginiamo o fantastichiamo, le cose in cui crediamo profondamente, il nostro modo di vedere la vita, e in quanto tali abbiamo senso e diritto di esistere, anche se gli altri non ce lo riconoscono.
La nostra morte comincia quando rinunciamo a ciò che sentiamo di essere, o quando rinneghiamo i dubbi, le insicurezze, le incertezze e gli errori eventualmente commessi.
La rinascita incomincia quando accogliamo e diamo valore alle nostre verità (e anche avere un'insicurezza o un dubbio può essere una verità) e ci proponiamo di esserne sempre più consapevoli, sentendo la nostra unicità come un valore, la nostra vita come una serie continua di nuove conoscenze ed esperienze, di piccole morti e successive rinascite, cioè di trasformazioni.
Non per vincere, per arrivare primi o per essere i più bravi e i più belli, ma per essere solamente e sempre ciò che autenticamente siamo. 

mercoledì 4 aprile 2012

i genitori-ragni

Ci sono dei genitori che non riescono a vivere bene il rapporto col proprio coniuge ma assumono su di sè il problema e cercano di conviverci decentemente o di risolverlo; altri genitori, invece, non riescono a non raccontare ai figli in modo continuativo tali malesseri, anche quando questi ultimi sono già grandi, dando magari la maggior parte delle colpe all'altro coniuge.
I figli più sensibili vivono con dolore le sofferenze che i genitori rivelano loro; quando i figli sono due o più, ce n'è spesso uno che diventa il contenitore dentro al quale i genitori riversano le proprie insoddisfazioni relazionali ed emotive.
Il risultato è che i figli si fanno carico di questi pesi, a volte senza soluzione di continuità, per tutta la vita e ciò può rendere loro particolarmente faticosa e difficile l'esistenza, non riuscendo, ad esempio, a realizzare un legame affettivo in modo sereno, essendo condizionati dalle esperienze negative dei propri genitori.
C'è in tutto ciò qualcosa di profondamente negativo e ingiusto, perchè si crea una catena nevrotica che scende a cascata da monte verso valle e travolge tutti quelli che, senza colpa, stanno sotto.
Spesso non basta capire come stanno le cose per risolvere il problema: il dolore vissuto dai genitori è una emozione che diventa dolore dei figli e che non serve a nulla, perchè i figli non possono fare niente per cancellare il malessere dei propri genitori, che dipende da cause che non li riguardano e sulle quali non possono intervenire.
La pretesa che i figli condividano in modo continuativo i problemi coniugali dei genitori è assurda perchè li fa soffrire inutilmente e va quindi condannata.
Le problematiche emotive e affettive che esistono tra i coniugi dovrebbero essere gestite e risolte tra loro, con quella normale assunzione di responsabilità che caratterizza le persone adulte. In caso contrario, i genitori si comportano come ragni: tessono la tela in cui tenere invischiato emotivamente il figlio e in questo modo gli tolgono energie e, in un certo senso, lo divorano, impedendogli di impiegare le proprie energie vitali per affrontare e risolvere i problemi della propria esistenza.