mercoledì 23 novembre 2011

pensare per immagini


Si può pensare in due modi diversi.
Il primo è quello logico, razionale, quello che siamo abituati a chiamare pensiero: ci concentriamo su un argomento e cerchiamo di sviluppare concatenazioni logiche, ragionamenti che abbiano un percorso logico. Quando ci troviamo a dover affrontare problemi che non riusciamo subito a risolvere, ci stanchiamo al punto che a volte ci viene mal di testa, tanto ci impegnamo nella ricerca di un risultato.

L'altro modo di pensare è completamente diverso, è un pensare per immagini, è quello che siamo abituati a chiamare immaginazione o fantasia. Eppure, se ci riflettiamo bene, anche quello è un modo di pensare, un'attività della mente che, a differenza del primo, non ci stanca mai.
Questo secondo modo di pensare funziona così: non mi concentro su nulla, anzi lascio che la mia mente sia senza obiettivi, la lascio fluttuare nel vuoto, come se galleggiasse sul nulla; mi limito semplicemente a non indirizzarla, a non intervenire, a registrare semplicemente le immagini e le associazioni che si presentano spontaneamente. Lascio la mia mente libera di viaggiare, come un uccello che vola nel cielo sopra di me.
La nostra cultura ritiene questa attività una perdita di tempo, una forma d'ozio tipica di sfaccendati e smidollati. Ma non è così!
Ciò che si presenta spontaneamente e improvvisamente alla nostra mente può essere qualcosa di molto importante che ci riguarda intimamente, non definibile come una semplice fantasia casuale.
Possono essere concatenazioni spontanee di immagini che ci portano a individuare possibili soluzioni a problemi attuali o prospettive per sviluppi futuri della nostra vita; possono essere intuizioni capaci di scardinare la griglia razionale in cui la realtà ci tiene prigionieri, una realtà che spesso ci sta stretta o che ci appare senza via d'uscita.
Con l'immaginazione, infine, possiamo intuire, con dovizia di particolari, cambiamenti e trasformazioni della realtà che poi razionalmente cercheremo di realizzare.

Non c'è nulla di più triste che essere prigionieri di una situazione esistenziale che ci opprime e non riuscire nemmeno ad immaginare una possibile soluzione. L'immaginazione ci permette proprio di rompere queste barriere, di vedere qualcosa che ancora non esiste nella realtà, ma che, nel momento in cui lo immagino, inizia ad esistere nella mia consapevolezza.
E soltanto ciò che riusciamo ad immaginare possiamo poi trasformare in realtà.

Tutte le scoperte, le invenzioni, le trasformazioni che sono avvenute nella storia umana o sono nate per caso, o sono state prima immaginate da qualcuno; la stessa scienza è debitrice all'immaginazione di buona parte delle proprie scoperte.

Certo, il pensiero logico e razionale è fondamentale, ma il pensiero immaginale non è sicuramente da meno; la loro collaborazione è fondamentale per il nostro sviluppo e solo gli ingenui o gli sciocchi possono credere che uno dei due sia necessario e sufficiente e che l'altro si possa impunemente trascurare.

8 commenti:

Romina ha detto...

La nostra cultura ritiene questa attività una perdita di tempo, una forma d'ozio tipica di sfaccendati e smidollati. Ma non è così!

E certo che non lo è! Pensare per immagini significa anche restare legati al proprio io più profondo e più vero, per cui ha sempre un senso.

Francesca ha detto...

Bello e interessante questo blog.
Ti seguirò senz'altro... anzi, ti ho già aggiunto al mio blogroll, così resterò sempre aggiornata. Non ti dispiace, vero?
Un abbraccio
Francesca

Sandra M. ha detto...

A leggerla qui, questa cosa di " scardinare la griglia razionale in cui la realtà ci tiene prigionieri, una realtà che spesso ci sta stretta o che ci appare senza via d'uscita" sembra una roba non troppo difficile...

horror vacui ha detto...

Esistono diversi stili di pensiero e ciascuno di noi ha il suo stile personale, che, a volte, è pure fatto dalla giustapposizione di stili diversi. Alcuni utilizzano il pensiero logico, altri quello visivo, altri ancora quello cinestetico e via dicendo. Il problema, forse, non sta nel prediligere uno stile di pensiero rispetto ad un altro [non è sempre vero che il pensiero per immagini sia da preferirsi rispetto a quello razionale, o quanto meno che per una data persona funzioni meglio (anche la fantasia, a volte, può confonderci le idee, anche il pensiero divergente, a volte, ci porta fuori strada)], ma individuare il nostro stile personale, prenderne consapevolezza, sapere che noi riusciamo meglio attraverso quel tipo di pensiero, che è quello il pensiero che ci permette di "vedere" e di andare oltre.

rosso vermiglio ha detto...

ti seguo con attenzione e ti dirò
a me capita spesso di lasciarmi andare all'immaginazione proprio per alleggerire certe situazioni altrimenti pesanti. Aiuta, è vero, e non poco.

Paolinopensatore ha detto...

Ieri sera ho avuto una illuminazione.
Ho visto alla tv un film del 1997, "Will Hunting" con R.Williams e M.Damon, dove il protagonista è un ragazzo apparentemente semplice ma genio della matematica. Questa apparente semplicità si manifesta sempre con una logica ferrea e con ragionamenti brillanti che rendono "geniale" il ragazzo. C'è una spiegazione logica a tutto e soprattutto riesce a dare definizioni precise e puntuali a qualsiasi cosa. Pian piano però si rivela che dietro questi pensieri logici e questo bisogno di definire tutto, comprese l'immaginazione, la creatività e l'amore, si nasconde una grandissima paura di vivere, di provare emozioni e di mettersi veramente in gioco.
Alla fine R.Williams gli dice una frase tipo: "Hai mai provato l’esperienza di perderti con una ragazza? No, tu lo hai solo letto sui libri e mi sapresti dare una definizione precisa, ma non lo hai mai provato…".
Ecco, l'illuminazione è stata questa: a volte piuttosto che razionalizzare e fare della teoria occorre lasciare la corazza, fare un bel respiro, e con il cuore in mano buttarsi nella mischia.
Consiglio a tutti di recuperare il film....

Donatella ha detto...

A volte il nostro vissuto ci costringe a evitare il "pensiero immaginale" per il timore che le immagini possano essere la conseguenza di un ricordo ma arriva un momento in cui si sente l'esigenza di sgombrare la testa dai ricordi e permettere anche ad altro di abitarvi. Io ci sto provando. Grazie per il tuo passaggio!

Giardino Filosofico e Inventificio Poetico ha detto...

Caro Giorgio, su éupolis, la rivista fondata da Pietro M. Toesca, avrei portato avanti ciò su cui Pietro stava lavorando, questione che poi il suo amico e allievo Giuseppe Di Giacomo ha ripreso nella sua filosofia estetica, entrambi si sono interessati alla relazione tra scienza e arte. Il caso particolare è dedotto dalle regole che hanno lo stesso statuto per fisica, matematica, chimica. Una penna è descritta tramite la sua funzione. Che questa sia poi di una forma o di un'altra è secondario, che scriva rosso o nero non importa, importante è che scriva. Ecco, la classe delle penne è un elenco a cui corrispondono oggetti diversi con la stessa funzione, scrivere. Qui c'è un rapporto diretto e logico del caso alla legge generale, da questa si deducono tutti i casi, ecco cosa accade nelle scienze naturali, mentre in quelle umane le regole generali non sono tali da giustificare il caso particolare. Così la psicoanalisi non è interamente scienza, ma neanche arte. Questo la rende particolarmente interessante sotto il profilo filosofico. Perché si pone come cerniera tra il modo di pensare scientifico e quello artistico. La scienza prevede delle classi, delle leggi, da cui dedurre il particolare. In questo caso l'appartenenza di un oggetto ad una classe è deducibile dalla sua funzione. Un esperimento, d'altronde, è richiesto sia indipendente da chi e dove lo svolge, una volta rispettato il metodo il risultato deve essere lo stesso, deve funzionare allo stesso modo. Bene, le scienze umane non rispondono a questi requisiti, ma neanche possono dimenticare una base comune alla scienza, così come la poesia non può dimenticare le regole linguistiche, la sintassi, la grammatica. Pure non è sufficiente conoscerle per essere poeti. Qualcosa in più è necessario a fondare il discorso poetico. Tra regola e particolare c'è uno scarto. Quel qualcosa, lo scarto, possiamo definirlo la costruzione poetica, la sua creazione. Dunque, essere poeta richiede una conoscenza della grammatica, ma anche la capacità di creare qualcosa che va oltre, uno scarto che è il vero atto poetico, più importante delle regole stesse. Giordano Bruno diceva che la grammatica non era da rispettare, ma da inventare. Pertanto lo scienziato dal concetto, Deleuze dice dal funtivo, in modo funzionale, quindi matematico, deduce tutti i casi. Per l'arte questa regola non ha valore, ciò che importa è l'esistenza di uno scarto, un resto, che si dà solo in modo induttivo. Poesia per poesia, quadro per quadro, ognuno un caso a sé. Cosa succede in questo passaggio? Una lunga serie di cose. La prima è che il particolare assorbe l'universale. Questo è il concetto di bellezza. La Gioconda, come opera, dice molto di più su cosa significa fare un quadro di quanto indichi la parola quadro stessa. Anche nella psicoanalisi il particolare è un caso a sé, cioè, non è deducibile, per la semplice ragione che il paziente non è riducibile a semplice oggetto. Tuttavia, non è libero lo psicoanalista di fare quello che vuole come, ad esempio, fa un poeta. Dunque, la psicoanalisi è simile alla poesia eppure qualcosa la distingue. Quel qualcosa interessa alla filosofia, quel qualcosa è il concetto. Nel caso dell'arte il concetto non c'è, sostituito, sempre dice Deleuze, dalle figure. Le immagini di cui parli te. Cezanne mentre dipinge Mont Saint-Victorire sente che mentre lo guarda è anche guardato, per questo lo rifà centinaia di volte, perché è sempre diverso. Anche con il paziente mentre lo guardi ti guarda, mentre gli parli ti parla, sei, insomma, in una dimensione relazionale. La deduzione è spaziale ma lo scarto richiede tempo, per questo è induttivo. Insomma, lo scarto richiede un processo, una costruzione, un lavoro, un fare, una poiesis che è fare immagini, parole, non cose. Tuttavia alla psicoanalisi rimane un che di concettuale. Wittgestein parla di somiglianza. Ecco, alla psicoanalisi serve un concetto ma non funzionale. Un concetto a maglie larghe che deduce i suoi particolari non da funzioni ma da somiglianze.
Franco Insalaco