martedì 29 novembre 2011

prendersi cura

Stasera ho partecipato ad una iniziativa organizzata dall'associazione donne-medico di Modena: la proiezione del film L'albero di Antonia, seguita da un dibattito sul tema del prendersi cura dell'altro.
Antonia, la protagonista del film, si prende cura di tante persone: accoglie e rende felice una minorata psichica che subiva violenze nella propria famiglia, accoglie una donna con due figli rimasta senza casa, accoglie un prete che decide di rinunciare ai voti, consente alla propria figlia di farsi mettere incinta da un uomo allo scopo di tenere il bambino ma non il compagno, ecc.
Il punto importante è che mentre Antonia si prende cura degli altri, fa la stessa cosa anche con sè stessa, vivendo quindi le relazioni con gli altri e con sè stessa con disponibilità e gioia in un clima di verità.
Nel film non mancano momenti tragici, violenze e morti efferate, ma nella vita ci sta anche quello e la regista non fa nulla per nasconderlo.

Interessante il dibattito che ha seguito la proiezione del film: tra gli altri interventi, una dottoressa faceva notare come i medici considerino perlopiù solo negativamente la morte e tendano a difendersene considerandola un evento di routine, invece di viverla come un evento luttuoso ma naturale della vita umana; un altro medico ha accennato alla necessità di rapportarsi sempre meglio con i pazienti anche sul piano affettivo-relazionale.
Alla serata hanno partecipato più di cento persone, tra medici e infermieri, e mi è sembrato importante che si siano ritrovati per riflettere sul tema del prendersi cura dei pazienti attraverso l'ascolto, l'empatia e l'attenzione perchè a volte le persone, soprattutto gli anziani, si ammalano anche perchè non hanno nessuno che le ascolti, che presti loro attenzione, che voglia loro davvero bene e glielo manifesti.
E' vero che un medico di famiglia non può ascoltare tutti come se fosse uno psicologo, ma prendersi un po' cura della relazione col paziente, oltre che del suo corpo, è a mio avviso un comportamento fondamentale sia dal punto di vista umano che da quello terapeutico.

domenica 27 novembre 2011

ti amo

Vasilij Vasil'evič Kandinskij

Chi pensa che ti amo sia una espressione che ha per tutti lo stesso significato, si sbaglia di grosso. E' vero l'esatto contrario: ciascuno di noi, quando dice ti amo, dice una cosa che ha un significato estremamente soggettivo.
Quando le canzonette più banali strillano ti amoooo... hanno tanto successo perchè dicono una cosa generica e collettiva, che ciascun ascoltatore interpreta e modula secondo la propria concezione dell'amore.

 Per qualcuno amare significa darsi completamente all'altro, esporsi, mettersi in condizione di essere anche ferito dall'altro, dal suo abbandono o dal suo rifiuto, rispettando l'altro, lasciandolo libero e non facendolo sentire sbagliato o colpevole per essere diverso da sé in qualcosa.

 Altri dicono ti amo, ma tendono a difendersi da un coinvolgimento emotivo troppo impegnativo e tengono sempre aperta qualche porta per potere, in caso di bisogno, sfilarsi dal rapporto per andarsene altrove.

 Poi c'è anche chi tende a preoccuparsi continuamente di non perdere il controllo della relazione e quasi mai lascia scegliere o decidere il da farsi anche all'altro.
Edward HOPPER
C'è chi dice ti amo perchè ha bisogno di continuare ad avere con il partner lo stesso ruolo di figlio/a che aveva con la madre o il padre, con l'unica differenza che col partner ci fa anche l'amore.
C'è chi dice ti amo perchè deve averti, perchè tu hai delle caratteristiche che lui/lei non ha e tu supplisci alle sue mancanze.
C'è chi dice ti amo perchè sei bella/o, ricca/o, parli bene, sei colto/a, sei un intellettuale, sei indecifrabile, sei selvaggio/a, fai l'amore bene, ecc. ecc.
C'è chi dice ti amo perchè ha desiderio o bisogno della cerimonia del matrimonio, della festa con gli invitati, di un figlio e di una casa dove vivere insieme allontanandosi dai genitori.
Molte volte, quando ci sentiamo dire ti amo, pensiamo automaticamente che l'altro dia a questa espressione lo stesso significato che gli diamo noi. Può darsi che sia così, ma non è detto.
Dobbiamo prestare attenzione ai nostri sentimenti e alle nostre intuizioni, ma anche ai fatti, al comportamento concreto dell'altro e dare alla relazione tutto il tempo necessario per potersi mostrare nei suoi contenuti reali, per riuscire a scoprire se la nostra concezione dell'amore è simile a quella dell'altro, se amare significa davvero per entrambi la stessa cosa, se tutti e due siamo realmente capaci di amare. 

mercoledì 23 novembre 2011

pensare per immagini


Si può pensare in due modi diversi.
Il primo è quello logico, razionale, quello che siamo abituati a chiamare pensiero: ci concentriamo su un argomento e cerchiamo di sviluppare concatenazioni logiche, ragionamenti che abbiano un percorso logico. Quando ci troviamo a dover affrontare problemi che non riusciamo subito a risolvere, ci stanchiamo al punto che a volte ci viene mal di testa, tanto ci impegnamo nella ricerca di un risultato.

L'altro modo di pensare è completamente diverso, è un pensare per immagini, è quello che siamo abituati a chiamare immaginazione o fantasia. Eppure, se ci riflettiamo bene, anche quello è un modo di pensare, un'attività della mente che, a differenza del primo, non ci stanca mai.
Questo secondo modo di pensare funziona così: non mi concentro su nulla, anzi lascio che la mia mente sia senza obiettivi, la lascio fluttuare nel vuoto, come se galleggiasse sul nulla; mi limito semplicemente a non indirizzarla, a non intervenire, a registrare semplicemente le immagini e le associazioni che si presentano spontaneamente. Lascio la mia mente libera di viaggiare, come un uccello che vola nel cielo sopra di me.
La nostra cultura ritiene questa attività una perdita di tempo, una forma d'ozio tipica di sfaccendati e smidollati. Ma non è così!
Ciò che si presenta spontaneamente e improvvisamente alla nostra mente può essere qualcosa di molto importante che ci riguarda intimamente, non definibile come una semplice fantasia casuale.
Possono essere concatenazioni spontanee di immagini che ci portano a individuare possibili soluzioni a problemi attuali o prospettive per sviluppi futuri della nostra vita; possono essere intuizioni capaci di scardinare la griglia razionale in cui la realtà ci tiene prigionieri, una realtà che spesso ci sta stretta o che ci appare senza via d'uscita.
Con l'immaginazione, infine, possiamo intuire, con dovizia di particolari, cambiamenti e trasformazioni della realtà che poi razionalmente cercheremo di realizzare.

Non c'è nulla di più triste che essere prigionieri di una situazione esistenziale che ci opprime e non riuscire nemmeno ad immaginare una possibile soluzione. L'immaginazione ci permette proprio di rompere queste barriere, di vedere qualcosa che ancora non esiste nella realtà, ma che, nel momento in cui lo immagino, inizia ad esistere nella mia consapevolezza.
E soltanto ciò che riusciamo ad immaginare possiamo poi trasformare in realtà.

Tutte le scoperte, le invenzioni, le trasformazioni che sono avvenute nella storia umana o sono nate per caso, o sono state prima immaginate da qualcuno; la stessa scienza è debitrice all'immaginazione di buona parte delle proprie scoperte.

Certo, il pensiero logico e razionale è fondamentale, ma il pensiero immaginale non è sicuramente da meno; la loro collaborazione è fondamentale per il nostro sviluppo e solo gli ingenui o gli sciocchi possono credere che uno dei due sia necessario e sufficiente e che l'altro si possa impunemente trascurare.

venerdì 18 novembre 2011

quando qualcosa nasce


Quando qualcosa è nato da poco, come questo blog, deve essere trattato con molta cura e delicatezza.

Non si può essere troppo rudi e non si possono avere troppe certezze; è meglio essere interiormente flessibili e osservare con attenzione e senza impazienza i piccoli mutamenti che avvengono: ad esempio i minuscoli movimenti del corpo di un neonato.

Bisogna proteggere le nuove creature da eventi stressanti troppo forti: il filo d'erba appena spuntato richiede condizioni meteorologiche tranquille per rafforzarsi e diventare robusto, evitando il rischio di essere sradicato dall'acqua o dal vento.
Anche un amore, all'inizio, deve essere trattato con estrema delicatezza.
Bisogna fare attenzione a non interpretare affrettatamente le parole e i gesti dell'altro, bisogna sapere che ciascuno è abituato a dare significati personali alle parole che usa e che la reciproca conoscenza si fonda sulla consuetudine, sulla somma di tante esperienze vissute in comune.

Quasi tutte le relazioni all'inizio sono fragili: le amicizie, ad esempio, si consolidano nel tempo, soprattutto quando si riescono a confessare e convidere gli aspetti meno brillanti e luminosi della propria personalità.
Anche il rapporto tra paziente e psicoterapeuta può avere bisogno di un certo periodo di rodaggio, perchè un'intesa profonda è spesso frutto di approssimazioni successive.


 
Ma è soprattutto quando qualcosa sta nascendo dentro di noi che dobbiamo essere sanamente materni, attenti e pazienti: quando sentiamo per la prima volta lo stimolo a fare qualcosa di nuovo, a incamminarci per una certa strada o ad abbandonarne una vecchia.
In quei momenti è fondamentale concedersi tempo per ascoltarsi con sincerità ed affetto, perchè il nuovo ha bisogno di spazi vuoti per poter arrivare alla coscienza: bisogna che la testa ascolti ciò che dice il cuore e non abbia la presunzione di decidere subito da sola.

Spesso è un sogno che, quando lo ricordiamo, ci porta uno stato d'animo nuovo, vitale e creativo, magari un sogno in cui la sognatrice è incinta o partorisce... Oppure quando si sogna di fare un viaggio in una zona sconosciuta della nostra psiche, un luogo per qualche motivo particolare, che ci dà sensazioni di gioia e benessere.

In ogni caso, qualcosa di nuovo nasce dentro di noi ogni giorno, perchè la nostra anima è una fonte continua di creatività, per cui bisognerebbe trovare tutti i giorni un po' di tempo, anche poco, per stare da soli con sè stessi, per ascoltarsi, per cogliere gli stimoli che la nostra anima ci manda, per coccolarsi un po' se è necessario, altrimenti corriamo il rischio di dimenticarci di noi, della nostra realtà più vera e di vivere una vita fondata esclusivamente sugli stimoli che ci mandano gli altri.

martedì 15 novembre 2011

le parole che curano



Come sono le parole della psicoterapia?
Sono come quelle scritte sui libretti di istruzioni degli oggetti che compriamo o sono come quelle delle poesie?

Rispondere in un modo o nell'altro a questa domanda fa una bella differenza.
In realtà esistono tipi diversi di psicoterapia: in alcuni hanno più importanza le istruzioni per l'uso, in altre la relazione emotiva tra paziente e terapeuta.

La psicoterapia viene anche definita la terapia con le parole, ma bisogna chiedersi ogni volta come sono queste parole, da dove nascono, in che modo vengono dette, perchè proprio quelle e in quel momento (e dicendo questo mi riferisco sia alle parole dette dal terapeuta che a quelle dette dal paziente).

E perchè un paziente con un terapeuta non si sente di dire quasi niente, mentre con un altro parla di sè per un'ora intera senza rendersene conto?

Credo che si possa parlare anche di terapia attraverso la relazione, di terapia che è un incontro di due personalità che si parlano usando le parole, ma che entrano comunque in una relazione profonda tra loro.

Negli anni della mia formazione, ho sempre scelto per me terapeuti le cui parole mi entravano nella pancia oltre che nella testa, parole calde, umane, aperte alla vita, a un lavoro da fare insieme senza nessuna garanzia assoluta se non quella dell'impegno reciproco e di un sentimento positivo che ci accumunava.
Ho sempre sentito che l'altro ce la metteva tutta per me, che si spendeva e non tirava indietro nè la parola nè il cuore.
Non sto dicendo che basta volere bene a qualcuno per aiutarlo ad uscire dai suoi problemi, però a volte aiuta, anche se ci vuole una preparazione adeguata soprattutto per trattenersi, per non dire la parola sbagliata al momento sbagliato.
Ma se c'è l'intesa profonda, se si diventa fan (con giudizio) del proprio paziente, le cose hanno più probabilità di andare nella giusta direzione.

Insomma, dire terapia con le parole in sé può non significare quasi nulla.
Ma se immaginiamo un albero dal quale, come frutti, nascono le parole, bisognerebbe cercare di sentire sempre qual'è il loro sapore e il loro profumo, cercare di intuire come stanno le radici profonde dalle quali esse hanno origine, qual'è la vitalità della linfa che le attraversa, e ricordare che se anche una pianta è un po' sofferente, il prendersene cura con affetto può restituirle naturalezza e benessere.
Le parole che curano sono come acqua cristallina che scaturisce da una sorgente interna pura e naturale, sono frutti di un albero che è riuscito a crescere sano e sufficientemente robusto, nonostante le difficoltà quotidiane, le parole che curano sono quelle che ci riscaldano l'anima e ci danno fiducia e speranza.

giovedì 10 novembre 2011

psicoterapia e poesia


Foto di Monika Bulaj
 Se c'è una cosa che ho imparato in tanti anni che faccio lo psicoterapeuta, è che il mio lavoro ha molto a che fare con la poesia, il mio lavoro è soprattutto poesia.
Essere in relazione con un altro essere umano, cercare di sentire i suoi bisogni, i suoi tempi, i suoi ritmi: una specie di metrica umana, un dialogo che si dipana come i versi di una poesia.

Due cuori che battono vicini: uno che soffre e cerca la strada per stare meglio, e l'altro che ascolta e si ascolta, cercando strategie e percorsi possibili per giungere al superamento di uno stato di impasse esistenziale.
Sbloccare l'immaginazione, riuscire a immaginare il paziente mentre vive la sua esistenza in modo più autentico, più sereno e sicuro di sè, finalmente liberato da timori, paure e sensi di colpa.
Restare nella relazione, farsi carico delle paure dell'altro, accoglierle senza svalorizzarle e senza dare risposte superficiali, affrettatamente rassicuranti.
Esserci, continuare ad esserci anche quando il paziente manifesta il suo dolore profondo, la sua disperazione, i ricordi che fanno soffrire di più.
Fare sentire che non si ha paura, non perchè si usano tecniche di autocontrollo, ma perchè, anche se si teme la possibilità del naufragio, la speranza è comunque più grande ed è basata su percezioni interiori forti e precise.
Psicoterapia come poesia: a volte tragica, quando il percorso psicoterapeutico si interrompe o non riesce ad avviarsi, a volte epica, quando si lotta e si battaglia per raggiungere un obiettivo che si sente a portata di mano ma che è difficile da realizzare, a volte comica o ironica, quando si ride insieme come amici di lunga data.
Senza perdere mai la consapevolezza che è vero che i pazienti possono stare meglio grazie al rapporto con lo psicoterapeuta, ma è anche vero che lo psicoterapeuta senza i suoi pazienti non potrebbe fare il proprio lavoro.
E senza dimenticarsi che, una volta uscito da quella stanza e da quel ruolo, lo psicoterapeuta diventa simile ai suoi pazienti: una persona che vive la loro medesima condizione umana, un verso tra gli altri versi, in quella antichissima e attualissima poesia che per tutti è la vita.